La nef des fous

Né à Lima en 1929, poète, traducteur, Américo Ferrari a enseigné à l'Université de Genève. Son oeuvre poétique, connue en Amérique latine et en Espagne, est accessible au lecteur francophone grâce à la traduction des proses poétiques Figure pour s'abolir (1985) et La fête des fous (1991), un choix judicieux puisque ces deux recueils ont une même tonalité. Sorte de contes métaphysiques absurdes et cyniques, mais émouvants, ils invitent le lecteur non pas à contempler des fantômes et des fous (leur " vie ", leurs " habitudes invétérées " et leur " mort ") mais à réaliser qu'il en est peut-être un lui-même. Vivants et morts se regardent symétriquement, indissociables. Déambulant dans une ville mirage traversée par d'autres mirages, sans mémoire, sans temporalité, aveugles, " vivant " dans l'immédiateté, les " êtres " dépeints par Ferrari se vident de l'intérieur, expulsent leur âme avec des médicaments, s'entredévorent, se perdent, tentent de sauver les apparences : " du rien, il y en a de plus en plus ", " il pousse en dedans, de sorte que personne ne le voit ". Si on ne peut enfermer ces textes dans une interprétation unilatérale, il est séduisant d'y lire une métaphore de nos velléités, de notre agitation pour amasser de l'argent, oublier nos douleurs, ou plus simplement un témoignage de notre fragilité. Outre son grand talent, Ferrari offre un coup de fouet salvateur: nous sommes peu de chose, autant s'en rappeler et en rire.

Américo Ferrari, Figura para abolirse / Figure pour s'abolir, Editions d'en bas, 2004

Julien Burri

In un mondo molle e infingardo

Ci invita al sogno, ad un passo di danza onirico il poeta peruviano Américo Ferrari, finalmente tradotto in francese. Sembra quasi di entrare nella Flatlandia di Abbott, o di partire per l'isola strana in cui Bioy Casares aveva allogato L'invenzione di Morel, la macchina che reitera incessantemente una giornata ormai persa nel passato, fino a dissugare la realtà nella sua riproduzione. Il tono è sì, borghesiano, latinoamericano, e il lettore italiano si stupirà un po' di un libro di poesia fatto di piccole prose soffuse: Ferrari ci invita col sorriso sulle labbra - ma è un sorrisetto ironico raggelato - a visitare una città in cui gli abitanti - "definitivi" e vuoti - vagano in un'aria così pura da diventare estaticamente appiciccaticcia: un luogo in cui la personalità è abolita e in cui buffamente dal macellaio si pronunciano frasi del tipo "La volontà è di salsiccie un chilo". Ma in questo mondo molle e infingardo il tempo è diventato fango, i morti non scompaiono ma pullulano, addirittura ingigantiscono, come certe figure dell'angoscia ioneschiana. La pregnanza di queste micro-storie, di queste prose poetiche solo apparentemente smaliziate è data però dal fatto che Ferrari rifiuta l'esplicita metafora: in questa città in cui la "malinconia del tempo s'appiccica ai denti come una cicca" in cui gli apatici abitatori di tanta sospensione "accumulano la carenza con estrema avidità", ci si muove come in un paesaggio lunare, una maremma che cancella i nostri passi dietro le spalle. E si resta straniti, come lettori, perché qualcosa si riconosce e s'intuisce, mentre il poeta evita a tutti i costi il moralismo troppo schietto. E' come invischiarsi in certe paludi metamorfiche di Giorgio Manganelli. Nella seconda silloge del volumetto blu, allora, altre prose sprovviste di tempo e spazio (per quanto errabondi fossero tempo e spazio anche nella prima parte del volume) tentano qualcosa come una baluginante metafisica dell'angoscia contemporanea: "La musica mutilata galleggia sull'acqua. Una confusa distruzione colma gli interstizi, chiude gli sbocchi dell'occhio. Il barbaglio e l'imminenza si sciolgono nell'aria malsana. Tutto è fatto secco e consumazione".

Américo Ferrari, Figura para abolirse / Figure pour s'abolir, Editions d'en bas, 2004

Pierre Lepori

© Rete2 (RSI)

Page créée le: 23.08.04
Dernière mise à jour le 07.09.04