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Thomas Bouvier

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  Museo di Aarau, improvvisazione

 

John M Armleder
Ohne Titel (Furniture Sculpture 167), 1987

Thomas Bouvier
Museo di Aarau, improvvisazione

Bièco agg. (pl. m. -chi).
1. Obliquo, torvo, dell'occhio o dello sguardo che rivela malanimo o astio.
2. estens. Reso tristo dall'astio, dall'odio o dalla rabbia: E poi il mosser le parole biece /a dimandar ragione a questo giusto (Dante) - Minaccioso, sinistro, allucinante: Una b. druidica visione (Carducci). [1313, incr. di lat. Obliquus e aequus].

Bieco: una parola affatto udibile tra i tavolini all'aperto dei caffè, che di rado senti pronunciare dal panettiere o al supermarket, che quasi mai si vede ornare i cartelloni bercianti della pubblicità. Bieco da cui mi vien facile tirar fuori cibo e òbice, efèbico e cubico, seguitando poi con X-Bieco che potrebbe esser il nome di un videogioco ultimo grido.

Bieco, stretto nel mio dizionario tra bidonville e bidermeier, non so perché mi piace tanto e lo posso ripetere venti volte di fila senza che perda un solo istante il suo fascino obliquo. Non è poi così lontano, in quanto a suono, da bicipite, col suo bagaglio pettoruto. Pettorali sodi e potenti che sussultano al contatto di una carezza, torsi ampi e ponderosi che invitano la mano come la invita un frutto maturo. Bieco, saldo nella b d'attacco, dolce nell'eco d'arrivo. Saldo e dolce, questo per il suono. Il senso traslato è tutt'altro, ha qualcosa d'infingardo, una minaccia o un leggero malessere che accompagna tutto quanto è losco. Ma è il senso proprio, più letterale, che oggi m'importa, nell'istante in cui siedo davanti alla foto del dipinto.
Per cominciare, vedo verde. Un verde al contempo sordo e profondo che avrei voglia di chiamare verde-stagno. Ricorda l'opulenza d'una borghesia di lunga data, una fortuna tranquilla e senza schiamazzi che avanza, s'accresce, ogni giorno si consolida ulteriormente nel controllo dei beni materiali. Posso benissimo immaginare questo verde negli ampi saloni di un albergo di lusso, a ricoprire le poltrone e il pavimento, velando in parte, tra festoni di pesante stoffa, le finestre aperte su un cortiletto, in cui una fontanella a forma di trogolo sputacchia un minuscolo spruzzo d'acqua. Verde la fodera della poltrona, verdi i quadretti appesi in alto a destra sopra di lui. Quello di destra è un monocromo, quello a sinistra è percorso da una linea in diagonale che sulla fotografia sembra marrone chiara. Quanto alla poltrona, è ridicola. Sembra smarrita in un mondo intermedio che non le conviene affatto, lungi dalla sponde sicure del mondo che le è proprio: l'orizzontalità. Le gambe, il retro, i braccioli ne hanno bisogno. Senza orizzontalità, eccoli improvvisamente rigettati, fuori luogo, fuori tema. Lo schienale, più verticale alla base, non se la cava meglio, rimanendo obliquo e tutto pronto a respingere gli assalti delle schiene più robuste. E' appena un dettaglio, un semplice spostamento. La poltrona, anziché accostata al muro, sembra voler scalare la parete, retrocedendo, mandando al diavolo la buona creanza che vorrebbe se ne restasse bella piana. Anzi, sembra proprio presa, non tanto tra due sedie, ma tra due condizioni: verticale e orizzontale. Ed ecco che, d'un tratto, ci prova con l'obliquo. Obliquo che possiamo scoprire sul piccolo quadro di sinistra. Obliquo ripreso in due linee sottili sul bordo superiore dello schienale, una chiara, l'altra scura. Penso che molti oggetti divengono ostili se sono votati all'esilio nel paese dell'obliquo. Un tavolo, un letto, una tazza, un vaso, e anche il pontile di una capace nave da crociera. Se orizzontali, possono facilmente affollarli con transatlantici le cui vele sono tese dal sedere di gente ricca e bella: centellinano dolciastri cocktail in cui navigano frutti riflettuti puntualmente nel nero profondo dei loro occhiali; inservienti affrettati, con un vassoio, un mazzo di fiori, una lettera tra le mani. Datemi un uragano, triturate il mare in onde grandi trenta metri, ed ecco che i pontili si fanno obliqui, poi obliqui in senso opposto. E tutti quanti corrono e gridano per salvar la pelle e specialmente quella del sedere. Penso all'obliqua parola che sgola sgomento e perché no, Titanic! Sono puntini sulle i che sanno interrompere la comodità che ci si aspetta da una poltrona il cui schienale è carezzevole, la cui dolcezza materna è compromessa da questa brusca ritirata.
Guardo ancora l'immagine e indovino che, perché stia in piedi a quel modo, hanno dovuto segargli le gambe, amputare quel che rendeva possibile un suo ritorno allo stato di natura. Volessi metterla diritta, cadrebbe, penosa, gettata in un'obliquità altrettanto nefasta. Obliquità? O forse dovrei dire: "biechità"?
Lascio ancora che il mio sguardo si tuffi nel verde intenso. Penso che un albergo di lusso costruito tutto di sbieco non avrebbe il minimo cliente, e che questa poltrona, lei, non troverà più l'ombra d'un sedere. Provatevi a mettere la comodità di una città borghese di sguincio ed essa mostrerà ben presto le prime crepe. Ci sono dunque ombre in Paradiso? Lo sguardo del serpente era dunque bieco? E tutti i demoni sotto il suo comando non hanno forse le gambe ritorte? Non so. Ci sono poche cose sicure in questo mondo gonfio di beffe e d'illusioni; ma oggi, seduto dinnanzi alla foto del dipinto, posso affermare quanto segue: "L'obliquità, quasi sempre, nuoce gravemente alla comodità".

Thomas Bouvier
Improvisation I. In: Muscheln und Blumen - Literarische Texte zu Werken der Kunst. (c) 2003 by Ammann Verlag und Co., Zürich.
marzo 2003

(Traduzione italiana : Pierre Lepori)

 

  Muscheln und Blumen

 

Beat Wismer, Stephan Kunz und Sibylle Omlin, Muscheln und Blumen, Literarische Texte zu Werken der Kunst, Aargauer Kunsthaus / Ammann Verlag, 2003

Eigentlich passt die Malerei in eine Falte der Zeit, aber diese Falte wird von ihr unendlich oft wieder entfaltet, und was da vor uns ohne zeitliche Ausdehnung erscheint, bleibt doch auf ewig in der Schwebe.

Jean-Christophe Bailly

"Mehr denn je scheinen mir Worte ausgeschlossen, und doch müsste die Möglichkeit, sich ihrer zwingend zu bedienen, da sein". schrieb Rilke einst in einem begeisterten Brief an seine Frau über die Bilder Cézannes. Rilkes Beobachtung mag dem vorliegenden Band wie ein Motto voranstehen.

Aus festlichem Anlass wurden 82 internationale zeitgenössische Schriftstellerinnen und Schrifsteller gebeten, jeweils über ein Bild oder eine Skulptur aus der Sammlung des Aargauer Kunsthauses zu schreiben. Die Texte sind mehr als überraschend. Unzählig vielfältig sind die Methoden oder Herangehensweisen. Es gibt - um nur einige zu nennen - mit Worten nachgemalte Bilder, wissenschaftliche Bildbeschreibungen, assoziative Gediche, persönliche Briefe, dramaturgisch intensive Erzählungen, hochqualifizierte Essays, ein Theaterstück und Texte mit halluzinatorischen Dimensionen. Die Imaginationen der Künstler und Autoren koppeln und verdoppeln sich, und es entstehen Momente des imaginierten Sehens in ihren kunstvollsten Resultaten. Muscheln und Blumen - nach dem Relief von Sophie Taeuber-Arp, das den Umschlag des Bandes schmückt - ein gleichnishafter Titel für ein unvergleichliches Buch.
Der Band ist eine erfrischende und ganz und gar besondere Anerkennung für ein international renommiertes Museum mit Beständen aus über 200 Jahren. Und endlich, ab Oktober 2003, kommt die bedeutende Sammlung dem Publikum in einem grösseren Umfang zu Gesicht - im attraktiven Erweiterungsbau von Herzog & de Meuron und Rémy Zaugg.

Beat Wismer
geboren 1953. Kunsthistoriker, lebt in Aarau. Seit 1985 Direktor des Aargauer Kunshauses Aarau.

Stephan Kunz
geboren 1962, Kunsthistoriker, lebt in Wettingen. Seit 1988 Kurator am Aargauer Kunsthaus Aarau.

Sibylle Omlin
geboren 1965. Germanistin, lebt in Zürich. Seit 2002 Leiterin der Abteilung Bildende Kunst Medienkunst der Hochschule für Gestaltung und Kunst Basel.

 

Page créée le 11.04.05
Dernière mise à jour le 151.04.05

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