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Giornale del Popolo

  Yvette Z'Graggen, Schegge di vita (di Anne Pitteloud)

«Ho semplicemente provato a scrivere - più o meno bene - dei piccoli testi, non è facile: c'è bisogno un punto di riferimento e l'insieme, raggomitolato, deve tenere», ci dichiarava con modestia Yvette Z'Graggen, incontrata questa primavera nel suo appartamento ginevrino. L'autrice, nata nel 1920, parlava del suo recente Éclats de vie [ Schegge di vita ], raccolta di venticinque storie brevi e limpide, che corrispondono ad altrettanti frammenti autobiografici. Un «libro ultimo», secondo le sue parole, che riprende diversi motivi sviluppati altrove: la ragazzina timida che vuole scrivere delle storie, il padre dentista, spesso collerico, il lavoro di segretaria per la Croce Rossa durante gli anni della guerra e il doloroso interrogarsi («come avrei agito se avessi saputo?»), che qui prende la forma di una lettera indirizzata alla segretaria di Hitler.

A questi temi ossessivi, Yvette Z'Graggen contrappone delle luminose istantanee (le vacanze in Ticino con sua madre, i soggiorni a Venezia o in Spagna): un'occasione per imboccare sentieri talvolta nostalgici, ma sempre attenuati dalla distanza temporale e da un leggero humour . Allo stesso modo, l'autrice rende omaggio ai suoi «angeli custodi»: dalle bambinaie alle aiuto-infermiere della vecchiaia, da sua madre a sua nonna - a cui dedica il magnifico Mémoire d'elles -, sempre «delle donne, dei visi di donne, delle mani di donne. Dai primi agli ultimi giorni. Da un mistero all'altro». In quest'attenzione per la magia del mondo, gli incontri e gli eventi - anche insignificanti - sembrano assonare con una dimensione più intima. Così, dal sogno opprimente di una morte programmata, sorge la notte del massacro dell'Ordine del Tempio Solare; un incontro fugace e commovente tra l'autrice e un benzinaio africano; o, ancora, la mosca morta apparsa di fianco a Écrire , di Marguerite Duras, nel quale la narratrice sta proprio leggendo un passaggio sull'agonia di una mosca blu.

Dall'alto della sua vecchiaia, che allontana un'infanzia diventata «sfocata, un po' tremolante, come i film in bianco e nero degli inizi del cinema», Yvette Z'Graggen restituisce la ricchezza di una vita condensata in alcuni temi essenziale e ricordi ricorrenti. I racconti si succedono in una scrittura semplice e fluida, senza fronzoli, e tracciano con finezza il ritratto dell'autrice lungo riflessioni sull'amore, la solitudine, la vecchiaia o la morte, dove la si coglie fragile ma coraggiosa, invaghita di libertà e lucida. E la raccolta si chiude in dolcezza: l'ultimo testo di Éclats de vie è dedicato al nipotino Robin, dieci anni: «Tempo fa, quando cominciava a camminare, mi emozionava tenergli quella mano così piccola e fragile. Oggi, mi appoggio su di lui per attraversare la sala da pranzo: mi precede, mi guida, ed è un po' come se volesse portarmi lontano da quella lunga storia che è la mia, coi suoi ricordi e tutti i suoi fantasmi».

di Anne Pitteloud
Adattamento italiano: Le Cultur@ctif


Page créée le 18.07.07
Dernière mise à jour le 18.07.07

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