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Giornale del Popolo

  Peter Schnyder, visioni della Svizzera (Francesco Biamonte)

Visioni della Svizzera. Alla ricerca di un'identità. Progetti e rifiuti. Con questo titolo il Centro di Studi Elvetici dell'Università dell'Alsazia Superiore pubblica un ponderoso volume di quasi cinquecento pagine, che si prefigge di interrogare l'identità del nostro paese attraverso la letteratura.

Elogio della Svizzera multilingue
Gli atti di un convegno francese che dimenticano il Ticino e i Grigioni

Di Francesco Biamonte*

Il volume dell'università alsaziana ci offre l'occasione per conoscere meglio questo singolare centro-studi, posto al di fuori del nostro paese, che conferma l'interesse per quello che spesso viene definito "Sonderfall", un caso speciale: quello della Svizzera quadrilingue e multiculturale all'interno del contesto europeo. Abbiamo voluto conoscere meglio il centro e le sue pubblicazioni, incontrando Peter Schnyder, curatore di Visioni della Svizzera e direttore degli "Studi Elvetici".

Professor Schnyder: un centro di studi sulla Svizzera in un'università francese è per noi motivo di un certo stupore. Ci può spiegare come è nato e quali sono i suoi scopi?

Gli "Studi Elvetici" dell'Università dell'Alsazia Superiore offrono due diversi tipi di diploma, uno di tipo letterario e uno socio-economico. Esiste poi anche un programma comune, che si struttura intorno a una dozzina di conferenze e incontri annui. La sezione relativa alla Svizzera è parte di una struttura più grande: il Centro sulle Lingue e Letterature Europee (CREL), che a sua volta è integrato nell'Istituto di Studi e Ricerche sulle Lingue e Letterature Europee (ILLE). Nel caso specifico, gli "Studi Elvetici" hanno il compito di favorire la ricerca in ambito letterario, con l'organizzazione di giornate di studio e di convegni, i cui atti vengono poi pubblicati (è il caso del libro Visioni della Svizzera, appunto). Quest'attività mi sembra di grande interesse, in ambito letterario, se solo guardiamo alla letteratura svizzera di lingua francese, che fa parte della letteratura francofona, ma è purtroppo ancora poco conosciuta e studiata.

La divisione degli "Studi Elvetici" tra la facoltà di lettere e quella di economia e scienze giuridiche e sociali sdoppia in pratica il vostro lavoro scientifico: come interagiscono questi due poli?

La letteratura e l'economia, chiaramente, sono due ambiti di studio ben distinti, anzi potremmo dire che questi due campi, normalmente, si ignorano l'un l'altro. Il nostro compito è proprio quello di far interagire i soggetti letterari e culturali e le conoscenze politiche o socio-economiche, in modo che gli studenti abbiamo sempre presente la complementarietà dei vari ambiti di studio.

I vostri lavori di studio sfociano, come detto, in volumi monografici della collana "Helvetica": uno di essi, pubblicato alcuni anni fa, era intitolato La Svizzera: un idillio?. Da parte francese, la Svizzera è vista ancora attraverso i classici cliché idilliaci o qualcosa oggi è cambiato?

Il cliché è un modo per sostituire una definizione generale a una situazione che in realtà è molto più complessa. Di tanto in tanto queste immagini stereotipate si confrontano con la realtà e le nostre facili convinzioni vengono messe in forse. L'immagine della Svizzera, in Francia (e specialmente in Alsazia) è assai ambigua. Per molto tempo si è guardato alla Svizzera proprio come al luogo dell'idillio, ma oggi sembra che la situazione si sia capovolta, quasi che la Svizzera fosse diventata un anti-idillio. Proprio per questo i nostri convegni e le nostre conferenze sono indispensabili, per andare al di là della mitologia (in un senso come nell'altro).

Uno degli aspetti più interessanti del libro pubblicato recentemente dal vostro istituto (Visioni della Svizzera) è quello che tocca il problema linguistico (in particolare negli articoli di Patrick Amtutz e nella premessa di Charly Teuschen, console generale di Svizzera a Strasburgo). Dal vostro punto di vista esterno al nostro paese, cosa pensa di questo dibattito? Le sembra che la Svizzera possa proporre all'Europa un esempio da seguire, per quanto attiene alla politica culturale e allo scambio linguistico? Oppure è ormai troppo tardi?

Si tratta, a mio avviso, di problemi molto gravi: che un paese come la Svizzera non sia riuscito a istituzionalizzare gli scambi linguistici a livello scolastico, questo mi stupisce non poco. Perché gli organismi in grado di regolare questi scambi esistono. Dalla Fondazione Oertli di Zurigo al Centro di Ricerca di Waldegg nel canton Soletta: durante gli ultimi trent'anni il mio collega germanista di Mulhouse, Peter André Bloch, ha provato a più riprese a fomentare gli scambi tra regioni. Ma i suoi sforzi si sono sempre scontrati con un singolare immobilismo da parte delle istanze politiche, senza dimenticare i fin troppi pregiudizi della popolazione (perché un alunno romando dovrebbe passare una settimana di scambi culturali in Svizzera tedesca, se poi non impara nemmeno un po' di buon tedesco?). Quel che è riuscito in passato al servizio militare, sembra non riuscire oggi al sistema scolastico elvetico. Gli sforzi intrapresi dalla commissione svizzera dei direttori della pubblica educazione non hanno dato grandi risultati, mentre il mondo dell'economia sembra sempre più indirizzato verso l'inglese. Contrariamente al passato, come ha giustamente fatto notare il linguista Georges Lüdi, lo studio di più lingue è oggi considerato un lusso inutile, troppo caro per la collettività; e allora ecco subentrare la lingua veicolare, in altre parole l'inglese.

Non possiamo, però, a questo proposito, nasconderle il nostro stupore, nello sfogliare il libro Visioni della Svizzera, in cui sono trattati solo temi attinenti la Svizzera romanda e tedesca, mentre sono ignorate - salvo un accenno nella prefazione - le realtà culturali del Ticino o del Grigioni romancio. Sorge il sospetto che le vostre "visioni della Svizzera" riflettano anche una tipica preoccupazione alsaziana, all'interno del quadro europeo, quello dei rapporti franco-tedeschi…

Lo ammetto: è paradossale il fatto che vogliamo promuovere il plurilinguismo e poi dimentichiamo due lingue nazionali. Si è trattato tuttavia di una scelta volontaria, dovuta a cause contingenti. Quando abbiamo organizzato il convegno Visioni della Svizzera, ci siamo accorti che la materia da trattare era enorme: purtroppo i colleghi italianisti della nostra università non conoscevano la letteratura ticinese; avremmo dovuto chiamare in causa altre università e l'organizzazione del convegno sarebbe diventata ancora più complessa. E poi abbiamo dovuto pensare agli atti: già con questi interventi ci siamo trovati a pubblicare un volume di 480 pagine e non dobbiamo dimenticare che il pubblico che viene toccato dalle Presse Universitaires de Strasbourg (nostro editore) è sostanzialmente francofono. Credo che se il nostro libro troverà buona eco anche in Svizzera romanda e nel resto del paese, questo potrebbe porre le basi per un nuovo convegno, che si occupi in modo specifico della realtà ticinese e grigionese.

Adattamento italiano: Le Culturactif

Intervista completa (in francese): http://www.culturactif.ch/invite/schnyder.htm


Page créée le 16.08.05
Dernière mise à jour le 16.08.05

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