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Mattia Cavadini
Mattia Cavadini, Sullo sfondo Cinque paesaggi, Manni, 2002

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  Mattia Cavadini / Sullo sfondo
 

ISBN 88-8176-308-7

Cavadini, in questo libro di racconti, ci consegna un mondo in cui le cose sono così come sono, senza volizioni o brame di possesso da parte di chi le osserva. La narrazione appare come una registrazione di ciò che accade in raccolto godimento dell'epifania delle cose. Mare, Lago, Brughiera, Palude, Ghiacciaio: cinque paesaggi, descritti da un'immediata vicinanza, in cui lo sguardo di chi guarda si sottrae per lasciare campo alle cose, alle luci, agli elementi. Cinque paesaggi in cui brilla il mistero del reale, nel suo orrore/splendore. Sullo sfondo, di tanto in tanto, immerse nel paesaggio, appaiono figure, a suggerire o a smentire una possibile via di sopravvivenza. Figure emblematiche, di passaggio. Qua e là si indovinano trame, fatte di lutti, nascite, amori. Ma soprattutto c'è la luce, descritta nelle sue diverse sfumature. Luce del reale ma anche luce della scrittura: laconica, cristallina, fulminea.


Mattia Cavadini, nato nel 1970 à Sorengo (Svizzera), vive tra Lugano e la Valsolda. All'attività scrittoria alterna la professione di giornalista culturale alla Radio Svizzera di lingua italiana. È autore di un romanzo breve, Inganno turrito (Casagrande, 1995, Premio Schiller). Suoi testi critici, dedicati alla letteratura francese e italiana del Novecento, sono apparsi su riviste e giornali. Ha pubblicato inoltre una monografia sull'opera di Giorgio Manganelli, La luce nera (Bompiani, 1997).

Mattia Cavadini, Sullo sfondo Cinque paesaggi, Manni, 2002

 

  Nota biobibliografica

Mattia Cavadini è nato nel 1970 a Sorengo e vive tra Lugano e la Valsolda (Italia). E’ autore di un romanzetto, Inganno turrito, edito da Casagrande nel 1995, che gli valse il premio Schiller. Nel 2001, con il racconto Lago, confluito poi nel libro Sullo sfondo. Cinque paesaggi, ha ottenuto il premio Hermann Ganz (della SSS, società svizzera degli scrittori). Dottorando in letteratura moderna e contemporanea, Cavadini è anche critico letterario. Suoi studi, dedicati alla letteratura italiana e francese del Novecento, sono apparsi su riviste e giornali. Ha pubblicato una monografia sull’opera di Giorgio Manganelli, La luce nera (Bompiani, Milano, 1997). Prossimamente, da Marcos y Marcos (Milano, marzo 2003), uscirà il saggio: Il poeta ammutolito. Letteratura senza io. Philippe Jaccottet e Fabio Pusterla.

 

  Intervista di Rossana Maspero

Intervista di Rossana Maspero andata in onda alla Radio Svizzera di lingua italiana rete 1 (srg ssr idée suisse)

R. M.: “Sullo sfondo. Cinque paesaggi”: un titolo per cinque momenti, cinque paesaggi per l’appunto, ma difatto, affiorano dei minimi comun denominatori: acqua e luce. Come sono declinati questi elementi nella tua scrittura?

M. C.: Sono due elementi fondamentali e formidabili nell’esistenza di ciascuno. Occorre però ritrovarli e recuperarli e per fare questo occorre uscire dalla cecità e aprirsi al mistero delle cose, per scoprire la vitalità e la forza enigmatica di questi due elementi.

Al di là dei due elementi, l’acqua e la luce, il tentativo di questo libro (e di questa scrittura) è quello di trasformare me stesso, cioè colui che scrive, in elemento. Non essere più scrittore che scrive sopra le cose, ma cercare di sottrarsi il più possibile, cancellare la propria personalità (come gli elementi che sono senza personalità), e mettersi sullo sfondo, appunto, come dice il titolo, e lasciare che siano le cose stesse, l’acqua, la luce, ma anche gli alberi, il filo d’erba … che sia la natura insomma a parlare, con il suo linguaggio, la sua forza comunicativa, senza sovrapporre le contaminazioni dell’io: desideri, frustrazioni, rancori, eccetera. Il tentativo insomma era questo: dar voce alle cose per ciò che loro hanno da dire.

R. M.: Acqua e luce sono elementi fondamentali della vita. Tu in differita però racconti anche il ciclo della vita, sino al mistero della morte. I personaggi che descrivi sembrano fantasmi, che emergono da un fondo come se fossero plasma.

M. C.: Non so bene come nascano i personaggi che si insinuano nelle mie storie. Io mi metto lì a scrivere e loro affiorano. Penso che siano simboli. E appunto sono i simboli della morte, dell’inquietudine, dell’unheimlich (direbbe Freud). Però ci sono anche i simboli della luce. In fondo penso che anche il lato oscuro, cioè il lato perturbante dell’esistenza (fantasmi, morte, eccetera), sia anch’esso grazia. In altre parole anche questo lato oscuro fa parte dell’esistenza ed occorre affrontarlo senza paure. E’ un momento dialettico dell’esistenza che va accettato pienamente.

R. M.: Affiora immediatamente nel tuo libello (esile nella forma ma molto denso) il passo lirico della tua scrittura. Posso definire questi tuoi testi dei piccoli “poèmes en prose”?

M. C.: Sicuramente in questi testi l’aspetto narrativo è poco importante. Il plot conta poco e quasi non esiste. Ciò che mi interessa è il linguaggio. Un linguaggio che cerchi di riprodurre attraverso il ritmo, le assonanze, i giochi fonosimbolici il fiato delle cose, il respiro del cosmo. Questo è il tentativo, ma è anche il segno di una mia incapacità: io fatico infatti a scrivere delle storie. D’altronde, fatico anche a leggerle. Non riesco ad appassionarmi alle storie. Ciò che mi interessa è il senso profondo, sempre che questo senso esista. La mia ricerca va in questa direzione.

R. M.: La tua è una scrittura alta, inequivocabilmente alta, che lascia trasparire la paternità letteraria, spesso in modo esplicito. Penso a Eliot, Montale, …

M. C.: Ci sono sicuramente molti riferimenti letterari. Ma d’altronde siamo tutti intrisi di quello che leggiamo. In questo libro spero però che l’aspetto citazionale venga avvertito non tanto come gioco ma come necessità. In altre parole: mi sembra di non aver giocato con le citazioni, ma di aver usato solo quelle citazioni che in un qualche modo sono diventate carne di me. E per questo sono diventate vere e vivide, e non semplicemente tasselli di un domino letterario.

Intervista di Rossana Maspero

 

  Estratti dalla recensione di Gianni Turchetta

Estratti dalla recensione di Gianni Turchetta (professore all’università di Milano) andata in onda sulla rete culturale della Radio svizzera di lingua italiana rete 2 (srg ssr idée suisse)

In prima approssimazione il libro si presenta come una ripresa di moduli che potrebbero essere quelli della prosa lirica e della descrizione. Però questa è solo un’apparenza. Nel momento in cui andiamo a leggere davvero il libro, scopriamo che il testo è ricco di trame narrative nascoste. Inoltre, i luoghi più che descritti nel dettaglio, appaiono luoghi simbolici. Mi verrebbe quasi da dire che c’è un percorso ascensionale all’interno di questo libro: come se ci fosse un lento ascendere verso non tanto una salvezza, ma un “brindello di senso”. (…) Un aspetto molto importante in questo libro è che la percezione è tramata del ricordo: Cavadini ci presenta un mondo (in modo molto acuto e intelligente) in cui la realtà non è soltanto ciò che percepiamo in una prospettiva empiristica, ma è fatta anche del passato e dei possibili. E qui si inserisce un altro aspetto importante di questo libro che chiamerei la costante attesa del prodigio: quasi un’idea di salvezza, che però non arriva mai. Ma è in fondo in questa attesa, in questa ricerca, che sta il senso delle trame di racconto di questo libro. (…) La lingua di Cavadini è anch’essa in costante ricerca: ricerca di uno stile in cui convivono l’alto e il basso; da un lato la parola preziosa, iperletteraria, o addirittura il neologismo; dall’altro la presenza del basso, del corporeo, della materia disgustosa, dei corpi che si disfano. Tutto ciò nasconde una scelta programmatica: Cavadini lavora sul contrasto: la convivenza di illuminazione (anche in senso morale e conoscitivo) e buio, la convivenza sistematica di vita e morte, che è in fondo un modo di accettare la totalità del divenire.

Estratti dalla recensione di Gianni Turchetta

 

Page créée le: 26.08.02
Dernière mise à jour le 26.08.02

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