Rivista annuale Hesperos
Annuario italiano di poesia e letteratura

Rivista annuale Hesperos

Hesperos, un annuario italiano di poesia
e letteratura dedicato alla Svizzera

Già il primo numero della rivista annuale Hesperos, uscito nel 2000, affermava in copertina l’intenzione di dedicarsi prevalentemente alla letteratura svizzera. Hesperos 2 mantiene abbondantemente la promessa, dedicandosi interamente alla letteratura svizzera. E l’edizione 2001 ha più che raddoppiato le sue pagine rispetto alla precedente: dalle 159 del 2000 raggiunge ora le 384 pp.; ha inoltre inserito quattro sezioni, una per ogni lingua nazionale, che si sovrappongono alla suddivisione in: Poesia, Prosa e Saggi, già presente invece nella sua prima edizione.

Nell’indice dell’edizione appena pubblicata troviamo elencati quindi, con queste suddivisioni, i seguenti autori:

  • Sezione di lingua tedesca
    Poesia: Erika Burkart, Ernst Halter, Klaus Merz, Markus Hediger;
    Prosa: Hugo Loetscher, Peter Bichsel, Theres Roth-Hunkeler, Francesco Micieli.

  • Sezione di lingua francesa
    Poesia: Jean-Georges Lossier, Claire Krähenbühl, Frédéric Wandelère, José-Flore Tappy;
    Prosa: Alice Rivaz, Rose-Marie Pagnard, Elisabeth Horem.

  • Sezione di lingua italiana
    Poesia: Silvana Lattmann, Giorgio Orelli, Giovanni Orelli, Alberto Nessi, Gilberto Isella, Donata Berra, Antonio Rossi;
    Prosa: Pietro Bianconi, Giovanni Borioli, Anna Felder, Renato Martinoni.

  • Sezione di lingua retoromancia
    Poesia: Andri Peer, Rut Plouda:
    Prosa: Benedetto Vigne, Leo Tuor.

    Nei Saggi, invece, rimaniamo a sud delle Alpi: si tratta di testi di autori di lingua italiana su testi di autori di lingua italiana.

Fabio Pusterla ha scritto il testo introduttivo:
La situazione culturale svizzera

Fabio Pusterla ha scritto il testo introduttivo La situazione culturale svizzera: a suo parere non si può propriamente parlare di letteratura svizzera, data la frammentarietà linguistica di cui questa è connotata: “Il concetto di ‘letteratura nazionale’, per quanto traballante sotto gli scossoni della storia, continua in qualche modo a garantire la possibilità di ragionare sull’Italia, o sulla Francia, o sul Portogallo; ma è di poco o nessuna utilità nel caso di paesi, come la Svizzera, in cui la compresenza di lingue e culture diverse rende l’idea stessa di “nazione” almeno in campo letterario, assai meno riconoscibile, o comunque estremamente mutevole” (pag. 10). Sul tema delle forze centrifughe, che nell’arte in generale ma soprattutto in letteratura agiscono sul nostro paese e lo caratterizzano, orientando le tre maggiori regioni linguistiche verso i rispettivi, più ampi spazi confinanti (Germania, Francia, Italia), è già stato detto e scritto molto. Non a caso: questa peculiarità comporta infatti ripercussioni imprescindibili sulla produzione letteraria. Rappresenta ad esempio un’importante barriera alla distribuzione delle opere. Gli editori ticinesi, ad esempio, non avevano finora una distribuzione in Italia, quindi il loro mercato era, in cifre, modestissimo. Si sta sperimentando in questi anni una certa apertura. Casagrande vende oggi anche oltre confine e le sue scelte editoriali non sono più orientate solo al pubblico ticinese.

Dai limiti commerciali sarebbe tuttavia sbagliato dedurne automatiche ripercussioni sulla produzione letteraria. Un’identità difficile può anzi diventare uno stimolo a una più sentita creatività.

Concludendo, due sarebbero quindi i perni del discorso: la necessità, soprattutto per le opere degli autori svizzeri di lingua italiana (che non devono per questo essere tradotte), di “espatriare” in Italia, e la conseguente indispensabile collaborazione italo-svizzera.

Il direttore dell’annuario, Silvio Aman, poeta e saggista, è italiano e le Edizioni La Vita Felice hanno sede a Milano; all’annuario hanno contribuito il Cantone Ticino, la Fondation Oertli Stiftung e la Pro Helvetia. Sono evidenti quindi le tracce di una forte collaborazione transfrontaliera. Chiediamo a Silvio Aman di rispondere ad alcune domande sull’Annuario.

Hesperos
Edizioni La Vita Felice
via A Tadino 52
20124 Milano

 

Silvio Aman risponde ad alcune domande sull’Annuario

Perché questo spiccato interesse per la letteratura svizzera da parte di un editore italiano?

Aman: L’interesse non è stato dell’editore, ma mio. Come accade spesso, c’è stata una partenza affettiva: già dall’infanzia guardavo alla Svizzera con interesse (dalla finestra della camera dei nonni vedevo le Alpi), un interesse che è andato via via sviluppandosi e dalle montagne è passato agli scrittori svizzeri. Ho studiato molti autori, tradotto (ad esempio Walser) e stabilito importanti contatti con scrittori svizzeri. Con Markus Hediger e Donata Berra ho sviluppato l’idea dell’Annuario, rivolgendomi poi a La Vita Felice per realizzarlo.

I testi sono inediti?

Lo erano. Il lavoro per l’Annuario è durato due anni e nel frattempo alcuni scrittori hanno pubblicato le opere considerate; in questo caso è stato indicato nei testi. Per le opere di scrittori non di lingua italiana, si tratta invece della prima traduzione in Italia. Hesperos è stato un grosso impegno di traduzione, di esplorazione e di saggistica, un lavoro antologico, di raccolta. Rispetto a Idra, una rivista che ormai ha stampato il suo ultimo numero, possiamo dire che Hesperos ha un indirizzo meno vincolato e, evidentemente, una periodicità più diluita.

Quali sono le intenzioni dell’annuario? Ci sono progetti precisi, per i prossimi anni?

Alla fine di febbraio abbiamo presentato l’Annuario al Centro culturale svizzero di Milano e in marzo alla Biblioteca cantonale di Lugano; per l’autunno è stata indetta una manifestazione presso la libreria Archivi del Novecento a Milano, con letture di testi da parte degli autori. Per quel che concerne i prossimi numeri, stiamo riflettendo se non abbandonare la veste dell’Annuario per uscire in forma di libro. Per la distribuzione sarebbe un grande vantaggio perché le riviste circolano poco. Vorrei anche spostarmi dalla sola letteratura e occuparmi più in generale di arte, abbinando ai testi immagini d’arte figurativa. Le intenzioni sono quindi quelle di garantire a Hesperos una maggiore visibilità e di dare ai suoi contenuti un più ampio respiro.

 

La situazione culturale svizzera / Fabio Pusterla

1. Premessa

Sarebbe fin troppo prevedibile, in una breve premessa di questo tipo, che il relatore di turno si scusasse anticipatamente per l'inevitabile imprecisione delle sue parole. L'argomento scelto, per sua natura, obbliga infatti a semplificare eccessivamente la situazione descritta, come sempre accade quando si cerca di definire le condizioni letterarie di un intero paese: oggetto sfug­gente, eccessivo, di fronte al quale è pressoché impossibile assu­mere una posizione di imparzialità, e che richiede pertanto, se­condo le buone maniere dell'oratoria, tutta una serie di scuse preliminari - che propongo però in questo caso di dare per scontate -. Ben differenti, infatti, e assai maggiori, sono le difficoltà che pone la particolare situazione politica e culturale svizzera rispetto a quella di molti altri paesi europei; al punto che, come si vedrà, proprio su questa particolarità dovrà insistere il nostro discorso. Nel 1945 un critico italiano della statura di Gianfranco Contini tentò con successo di allestire un panorama della letteratura italiana contemporanea destinato ad un pubblico francese; il ricco articolo, intitolato Lettre d'Italie (che non fu poi pubblicato dalla rivista che l'aveva richiesto, e che si legge attualmente nel volume Altri esercizi, Enaudi, Torino 1972), iniziava appunto mettendo in luce le difficoltà insite nell'operazione e nel momento storico. La guerra, appena terminata; l'esilio subito dal critico, che aveva passato alcuni anni in Svizzera; l'impossibilità insomma di documentarsi in maniera completa su un'attività letteraria editorialmente e geograficamente dispersa. Eppure, malgrado queste difficoltà, Contini poteva coraggiosamente affermare che

Il y aura donc bien des lacunes dans ce panorama, mais, il faut s'empresser de le dire, des lacunes purement anecdotiques et documentaires, et qui ne sauraient porter sur l'ensemble du paysage: cela dans la mesure où il est demeuré, plus nettement encore qu'en France, identique à lui-même. (p. 267)

Nel caso nostro, al contrario, le lacune non saranno per nulla semplicemente anddotiche: parlare in termini culturali della Svizzera significa infatti rinunciare in partenza a quel "paesaggio d'insieme" a cui appunto poteva riferirsi Contini; e fare dunque i conti con un oggetto di riflessione non tanto eccessivo quanto a dimensioni, ma forse inesistente proprio come oggetto, come realtà descrivibile. Il concetto di "letteratura nazionale", per quanto traballante sotto gli scossoni della storia, continua in qualche modo a garantire la possibilità di ragionare sull'ltalia, o sulla Francia, o sul Portogallo; ma è di poca o nessuna utilità nel caso di paesi, come la Svizzera, in cui la compresenza di lingue e culture diverse rende l'idea stessa di «nazione", almeno in campo letterario, assai meno riconoscibile, o comunque estremamente mutevole. Da questo punto di vista, ogni descrizione globale della realtà culturale elvetica non può fare a meno di considerare questa complessità e questa diversificazione interna, privilegiando quindi l'aspetto problematico piuttosto che quello meramente descrittivo, e soprattutto spostando l'asse del discorso da quello «degli autori e delle opere" a quello del dibattito culturale e politico. Si potrebbe riassumere questo primo scoglio teorico con le parole di Herbert Luthy (La Suisse à contre-courant, in «Revue économique franco-suisse», 1961): «décidément rien n'est simple dans ce pays».

Ma alle difficoltà oggettive dell'argomento bisogna ancora aggiungere quelle relative alla posizione dell'osservatore-relatore:

«Heimat oder Domizil?», si chiede Kurt Guggenheim riflettendo sulla condizione dello scrittore svizzero di lingua tedesca in rapporto ai luogo in cui vive ("Artemis», Zürich-München, 1961). Patria o domicilio? Luogo culturale, memoria storica ancorata nella realtà di un paese con il quale si stabilisce un rapporto profondo, poco importa se nelle forme dell'adesione o del rifiuto, o piuttosto semplice località di residenza, teatro di una scissione interiore tra il "cittadino", indiscutibilmente "svizzero" e lo scrittore, tutto sommato estraneo alla nazionalità politica, e almeno idealmente parte di un'altra comunità culturale, che fa capo alla Germania, alla Francia o all'ltalia? Naturalmente, a questa domanda ogni scrittore risponderà in termini personali, e ogni epoca tenderà ad accentuare questo o quell'aspetto della questione, sicché per esempio sarebbe molto diverso riflettere su questo aspetto del problema riferendosi alla prima metà del secolo, e in particolare all'epoca della seconda guerra mondiale, quando la situazione svizzera non poteva non contrapporsi a quella, ben più tragica, dell'Europa, e in particolare della Germania nazista e dell'Italia fascista; ma, ragionando sul presente, risulta difficile credere che la Svizzera, in quanto entità storica e culturale, riesca a suscitare nei "suoi" scrittori non dirò il fascino mitologico che emana dal primo testo di Mensagem (o rosto con que fita è Portugal: e quale metafora sarebbe poi necessaria per la Svizzera? Il cuore o lo stomaco?), ma forse neppure quella coscienza di un destino che mi pare di cogliere, sia pure in negativo, nelle parole di Nuno Judice (Adagio, p. 65):

O problema da literatura, de resto, residia nesse divórcio entre o criador e o público esclarecido. Esperava-se de cada livro que viesse trazer uma revolução nao se sabe em quê - na linguagem, nas ideias, no conteúdo, na história; e, no film de contas, via-se que todos amdavam a escrever a mesma coisa, que se resumia à frustração de ter nascido no país e de ter de viver contra ele.

L'impossibilità di definire con precisione l'argomento di cui si dovrebbe parlare, e il rischio che il sentimento di estraneità e di inappartenenza scavino una voragine troppo profonda per consentire ancora uno sguardo sufficientemente lucido, sono dunque le due difficoltà di partenza. Anzi, sono qualcosa di più: la posta in gioco, e il tema stesso di cui parlerà questa relazione. Forse, persino, gli unici tratti abbastanza peculiari del lavoro letterario che si svolge in Svizzera.

2. Un'immagine unitaria che si sbriciola facilmente

Non credo esista in Portogallo un'antologia della letteratura Svizzera contemporanea; ne conosco però alcune pubblicate in altri paesi, e generalmente riservate alla poesia. L'ultima in ordine cronologico dovrebbe essere la spagnola Antologia de la poesia suiza contemporanea allestita da Manuel Jurado e pubblicata ad Alicante nel 1992; e, per rimanere in Spagna, si potrà ricordare un numero della rivista di Barcelona «Hora de Poesia» (67-68, 1990) quasi interamente dedicato a una Muestra de poetas suizos actuales curata da Sergio Chaves. In ambedue i casi, gli autori della scelta antologica si premurano di avvertire il lettore che nel caso della Svizzera sarebbe improprio parlare di "letteratura nazionale", e che i poeti pubblicati e tradotti devono essere considerati rappresentativi delle quattro aree culturali compresenti sul territorio elvetico: la tedesca, la francese, l'italiana e la retoro­mancia. Anche così, tuttavia, mi domando quale immagine della Svizzera debba risultare al lettore spagnolo, diciamo a un lettore sufficientemente curioso per leggere quell'antologia o quella rivista, ma non necessariamente a conoscenza della situazione geo-politica e culturale svizzera. E poiché per esempio per uno svizzero italiano non è poi così raro sentirsi chiedere, in un bar di Roma o di Firenze, dove ha imparato così bene la lingua italiana visto che di solito parla lo "svizzero", mi domando se, analogamente, il lettore spagnolo non riterrà, piuttosto che la messa in guardia del curatore, l'idea di per sé ovvia che la Svizzera possieda una letteratura propria, riconoscibile e distinguibile dalle altre letterature europee, ancorché frazionata in tre o quattro differenti espressioni linguistiche.

Un tale interrogativo nasce anche da una constatazione a prima vista stupefacente: le antologie di letteratura "svizzera" sono assai più numerose all'estero che in Svizzera. Capita con una certa frequenza che uno studioso straniero, magari avendo trascorso un certo periodo di lavoro a Zurigo o a Ginevra, decida di approntare una silloge dedicata alla Svizzera, certo che l'inevitabile semplificazione di una realtà così complessa sia comunque giustificata dallo sforzo divulgativo connesso all'operazione; è avvenuto, oltre che in Spagna, in Polonia, persino, pare, in Giappone. Ma non in Svizzera, dove esistono, piuttosto, antologie regionali, che danno conto della situazione letteraria della Svizzera italiana, francese, o tedesca; oppure repertori bibliografici, come il dizionario Ecrivaines et écrivains d'aujourd'hui (1988) o il più recente Dictionnaire des littératures suisses (1991), per limitarci alle ultime pubblicazioni. Persino sul versante della saggistica il panorama non è molto diverso: anche un'opera generalmente rite­nuta abbastanza superata, come La storia delle quattro letterature della Svizzera di Guido Calgari (Sansoni-Accademia, Firenze-­Milano 1958), non lascia alcun dubbio, sin dal titolo, circa la necessità di considerare separatamente le diverse componenti culturali e linguistiche del paese; e non diversamente si comportano gli autori della successiva Die zeitgenossichen Literaturen der Schweiz (a cura di M. Gsteiger, Kindler, München 1974).

Ma, tornando all'ipotetico lettore spagnolo, voglio adesso concedergli, oltre alla curiosità, anche la capacità di leggere con grande attenzione e perspicacia le pagine introduttive dell'antologia, così da arrivare alla conclusione che la Svizzera non possiede una letteratura, bensì quattro, e realizza in questo modo, su di un piano letterario, la formula politica della confederazione. Hanno, queste quattro letterature, qualcosa che le distingua dalle altre letterature europee, e che giustifichi pertanto l'aggettivo "svizzere"? In un caso, la risposta è facile: la letteratura retoromancia non lascia spazio a nessun dubbio critico, dal momento che il romancio, se si escludono alcune vallate italiane sull'altro versante delle Alpi, non è parlato né tantomeno scritto in nessun altro luogo. Ma le altre tre? L'interrogativo è complesso, e non certo risolvibile sulla base di una piccola e parziale antologia; sicché il lettore spagnolo, che ora promuoverò al rango di studente universitario desideroso di laurearsi, poniamo, in letteratura comparata con una tesi sulla Svizzera, decide di trascorrere un anno di studio presso l'università di Losanna, allo scopo di raccogliere il materiale necessario per il suo importante studio.

Lo immagino in una sala della biblioteca, di fronte allo schermo di un computer sul quale consulta il catalogo informatizzato delle biblioteche romande; imposta la ricerca per soggetti, e chiede informazioni sulla Littérature suisse. Dopo un breve ronzio, ecco cosa appare:

1. Littérature suisse
2. Littérature suisse alemanique
3. Littérature suisse alemanique d'expression française
4. Littérature suisse baloise
5. Littératute suisse bernoise
6. Littérature suisse d'expression romanche
7. Littérature suisse fribourgeoise
8. Littérature suisse genevoise
9. Littérature suisse grisonne
10. Littératute suisse grisonne d'expression italienne
11. Littératute suisse grisonne d'expression romanche
12. Littérature suisse italienne
13. Littérature suisse jurassienne
14. Littérature suisse lucernoise
15. Littérature suisse neuchateloise
16. Littératute suisse romande
17. Littérature suisse soleuroise
18. Littérature suisse tessinoise
19. Littérature suisse valaisanne
20. Littérature suisse valaisanne d'expression allemande
21. Littérature suisse valaisanne d'expression française
22. Littératute suisse vaudoise
23. Littératute suisse zurichoise

Quella che sembra una pagina satirica di Dürrenmatt è in realtà uno specchio, probabilmente ancora incompleto, delle differenziazioni storiche e culturali tra le varie regioni della Svizzera; e d'ora in poi, anche continuando a considerare come punti di riferimento essenziali le tre grandi aree linguistiche francese, italiana, e tedesca, lo studente spagnolo non potrà fare a meno di provare qualche brivido di paura, pensando a come l'oggetto del suo studio si vada progressivamente polverizzando. Meglio, dunque, affrontare l'argomento da un altro punto di vista, lasciando da parte le classificazioni biblioteconomiche e analizzando i rapporti tra centro e periferia

Ma neppure stavolta il quadro risulta semplice; il centro non esiste, o esiste solo parzialmente. Zurigo, senza dubbio, può essere considerato il centro della Svizzera tedesca; ma anche Basilea reclama storicamente la sua dignità di importante città culturale, mentre le annuali Giornate letterarie svizzere si organizzano a Soletta; quanto alla Svizzera di lingua francese, sarebbe difficile gerarchizzare città profondamente diverse, e analogamente importanti, come Ginevra, Losanna, o Friborgo; e per ciò che concerne la campagna, come dimenticare la sua importanza nell'opera e nella vita di scrittori come Gottfried Keller, Robert Walser, Friedrich Glauser, o sul versante francese Ferdinand Ramuz e Gustave Roud? Persino un modesto e collinare fazzoletto di terra come il Giura ha dato voce, nel corso della sua lotta per l'indipendenza, alla poesia particolare di un Alexandre Voisard. E al sud delle Alpi, nei territori italofoni, il panorama è come rovesciato, ma non meno enigmatico: nessuna vera città, nessun istituto universitario, ma Milano a un'ora di macchina e Zurigo poco più distante, un pullulare di mostre, pubblicazioni e iniziative culturali, mentre la cittadina più importante, Lugano, parla il linguaggio superbo e vagamente ripugnante della piazza bancaria di lusso.

Accettare, dunque, questa confusione di culture e di lingue, questa assenza di gerarchie riconoscibili, come elemento positivo, come una ricchezza in continuo movimento, che offre e anzi impone il confronto, lo scambio, la traduzione? Idea affascinante, che consentirebbe di ritrovare in una piccola nazione una sorta di ideale microcosmo europeo, di rinnovare l'antico sogno che vedeva nell'esperienza svizzera un modello di cultura politica; forse, persino, la possibilità di uscire dagli angusti confini nazionali, scoprendo le potenzialità di una futura nebulosa cultura europea. Purtroppo, però, neppure questa immagine della Svizzera riesce a sopravvivere alla verifica: i rapporti culturali tra le varie regioni linguistiche sono assai meno vivaci e fruttuosi di quanto il laureando spagnolo pensava. Neppure l'attività traduttoria interna al paese risulta particolarmente convincente; certo, ci sono stati notevoli esempi di scambio culturale, e un romanziere di lingua, poniamo, tedesca, può sperare di essere prima o poi tradotto in francese. E, tuttavia, l'intellettuale o lo scrittore che vive a Lugano sa nel complesso ben poco di ciò che avviene a Ginevra o a Friborgo, mentre quello di Losanna guarda piuttosto con diffidenza, e comunque con moderato interesse, all'opera poetica del suo collega zurighese; persino gli autori più importanti, i classici o quasi classici del nostro secolo, hanno sfondato la barriera linguistica e culturale venendo tradotti, pubblicati e apprezzati, in Italia o in Francia, e di qui rimbalzando nella Svizzera italiana o francese: è il caso di RobertWalser, Friedrich Glauser, Friedrich Dürrenmatt, Max Frisch, Peter Bichsel, per non fare che gli esempi più ovvi.

Una meccanica di forze opposte sembra a volte dominare i contatti tra le tre principali culture del paese: ciascuna, da un lato, si sforza di definire il proprio rapporto con la cultura nazionale di riferimento, ed è ovviamente più interessata a quest'ultima, di cui pretende di far parte o da cui desidera differenziarsi, che alle sue consorelle elvetiche; e le due culture minoritarie, d'altro canto, cioè la francese e l'italiana, guardano con rispetto ma anche con diffidenza allo strapotere di quella tedesca, da cui si sentono anche fisicamente minacciate. Un esempio abbastanza significativo di questa situazione può essere costituito dai premi letterari di carattere nazionale, che vengono generalmente quadripartiti, cioè assegnati contemporaneamente in ognuna delle aree culturali da una giuria a sua volta rappresentativa di ciascuna di queste aree; se per disgrazia il premio è unico, la giuria fatica a prendere una decisione, dal momento che, salvo lodevoli eccezioni, i suoi membri possono giudicare solo i prodotti della cultura a cui appartengono. Neppure le associazioni di categoria, il cui statuto oscilla tra quello del gruppo culturale e quello del sindacato di scrittori, riescono a diventare un reale punto di scambio interculturale; lo ammette per esempio Monique Laederach, scrittrice e poetessa della Svizzera francese, e a lungo tra le principali animatrici degli "Srittori svizzeri del Gruppo di Olten":

Le Groupe d'Olten est plutôt organié comme un "syndacat", et son activité porte surtout, actuellement, sur les questions de contrats, de droits d'auteur, etc. Les écrivains romands ont un peu de peine à trouver de l'interêt à ces activités. En outre, ils savent généralement peu l'allemand, ce qui rend les contacts directs entre écrivains difficiles. La plupart d'entre eux éprouvent qu'il y a schisme total entre les auteurs alémaniques et nous. (David Bevan, Ecrivains d'aujourd'hui, Editions 24 Heures, Lausanne 1986, p. 115)

Le fanno eco, in un discorso più generale, la filosofa Jeanne Hersch

Il y a une méfiance réciproque. Nous croyons trop que chaque région de la Suisse protège sa littérature, si bien qu'on ne se fie pas entièrement au jugement des autres. On ne se fait pas assez confiance. (In Manfred Gsteiger, La nouvelle littérature romande, Bertil Galland/Ex Libris, Vevey, Lausanne et Zurich 1978, p. 188)

e il critico Manfred Gsteiger

Mais on pourrait presque admettre qu'il règne dans les relations des littératures suisses les unes par rapport aux autres une loi de complémentarité, plutôt qu'une loi d'identité. La distance reste considérable entre elles, et on ne peut parler d'un consensus entre la Suisse germanique et la Suisse latine. [...] Il va absolument de soi que, pour l'auteur suisse, la vie littéraire de l'étranger occupe une place beaucoup plus importante que les écrits et problèmes de ses compatriotes d'une autre langue. (Ibid, p. 195)

A questo punto un certo scoraggiamento comincia a pervadere l'animo coraggioso, ma non ancora temprato dalle avversità dell'analisi letteraria, del giovane studioso spagnolo. L'idea originaria di una letteratura svizzera si è dapprima scissa in un quadrilatero piuttosto complesso; poi ha rivelato una figura solida sfaccettata e difficilmente riconducibile ad una forma definita; infine è parsa frantumarsi in una ridda di situazioni poco o nulla comunicanti l'una con l'altra. Si potrebbe cercare di individuare, all'interno di una produzione letteraria così diversificata, almeno qualche tematica comune, un'ispirazione, un sentimento, una tensione identificabile come tratto caratteristico? Si potrebbe, ed è già stato fatto; con risultati, bisogna dire, non particolarmente convincenti. Se il critico letterario ha la voglia e la pazienza di trasformarsi in una sorta di entomologo della letteratura, può anche avere l'illusione di infilzare sui propri spilloni alcuni elementi caratterizzanti, particolarmente evidenti sul piano tematico e ideologico; Si parlerà allora di una tendenza al realismo e al pragmatismo, di un interesse per la critica sociale e di costume, o per converso di un facile ripiegamento su posizioni meditative e intimistiche di una generale diffidenza verso le forme più tangibili e rischiose dell'avanguardia, eccetera eccetera; e si cercherà di spiegare l'emergere di una siffatta casistica ora con l'influsso storico del calvinismo e della riforma protestante, ora con quello della religiosità di matrice cattolica (anche da questo punto di vista, infatti, i territori elvetici sono notevolmente differenziati l'uno dall'altro), ora con l'assetto solido, benestante e soddisfatto di uno stato borghese che facilmente scatena al suo interno una reazione critica radicale.

Il fatto è che simili griglie interpretative risultano sempre un po' rigide, un po' troppo preconfezionate; e le piccole opere letterarie, o i singoli autori, faticano a trovarvi la loro giusta pronuncia. Dürrenmatt sarebbe qualificabile come svizzero per l'acre sarcasmo che trasforma gran parte della sua opera in una satira corrosiva della società contemporanea? Può darsi; ma si tratta, verosimilmente, dell'ultima preoccupazione di un qualsiasi lettore di Dürrenmatt, che riterrà più urgente e più interessante misurare le scelte del suo autore con i parametri della letteratura tedesca del Novecento. La poesia di Philippe Jaccottet, con la sua pronuncia umile e apparentemente quotidiana, con il suo interesse per la luce di un paesaggio, per la fatica di ogni giorno, va spiegata con le origini vodesi di questo poeta, che in gioventù avrebbe assorbito la severa eticità protestante, oppure con le opzioni e le letture effettuate dall'autore all'interno della letteratura francese ed europea durante i quarant'anni di vita e di lavoro traduttorio tra Parigi e il sud della Francia? E se anche questi due esempi, e i molti altri che si potrebbero aggiungere, suonassero troppo particolari, vuoi per l'eccezionalità dei risultati letterari, vuoi per la loro eccessiva contemporaneità, cos'altro si potrebbe concludere se non che l'ipotesi entomologica risulta adatta o solo per i mediocri o solo per determinati periodi storici?

Sulla base, più o meno, di questo ragionamento certamente discutibile, lo studioso spagnolo decide di tentare l'ultimo sforzo, e di riconsiderare separatamente ogni grande regione linguistica svizzera in rapporto alla cultura di riferimento: un tentativo di indagine a cavallo tra sociologia e semiologia, dalla quale sarà forse finalmente possibile ricavare qualche dato positivo. Nel frattempo, il giovane studioso spagnolo ha letto, non senza apprensione, la pagina di una rivista della svizzera italiana, "Bloc notes" (14, dicembre 1986, p. 35) in cui, introducendo un dossier dedicato alla letteratura regionale e alla dialettologia, una redattrice ricorda le parole di Pierre Bourdieu, dedicate alla letteratura belga:

Tout tient dans une question de mots: Faut-il dire littérature belge ou littérature "belge", littérature belge de langue française ou littérature française de Belgique ? Enjeu du débat: existe-t-il une littérature belge ?

La questione, solo in apparenza futilmente terminologica, è stata ampiamente dibattuta anche in Svizzera, soprattutto nell'area italofona e francofona. È possibile parlare di una letteratura della Svizzera francese, o italiana, o tedesca, come di realtà almeno parzialmente autonome, distinte dalla letteratura francese, italiana e tedesca? La risposta a questo interrogativo, lo si intuisce facilmente, non sarà facile, né definitiva; essa dipenderà dall'intrecciarsi di numerosi fattori, tra cui quello propriamente letterario, quello relativo alle condizioni culturali, editoriali e persino economiche di ogni regione, e quello infine di carattere politico culturale. E, forse, appunto nell'oscillazione tra un sì deciso e un no altrettanto fermo si potranno cogliere alcune delle caratteristiche mutevoli ma costanti che definiscono, se non una letteratura nel suo insieme, almeno la condizione culturale e psicologica in cui si dibattono i suoi autori.

3. Il rapporto con la patria culturale

Si potrebbe cominciare da un esame superficiale della situazione editoriale. Per esempio confrontando le bibliografie in appendice a due interessanti volumi, dedicati rispettivamente alla Svizzera tedesca e a quella francese. Il primo, di Walter Schiltknecht (Le roman contemporain en Suisse allemande, L'Age D'Homme, Lausanne, 1974), offre un ampio e approfondito studio del romanzo svizzero di lingua tedesca tra il 1959 e il 1973, ossia nell'epoca in cui i due più celebri autori svizzeri, Frisch e Dürrenmatt, avevano ormai raggiunto una posizione di assoluto prestigio in patria e all'estero. Alla vasta bibliografia dei quindici autori considerati (Heinrich Wiesner, Werner Schmidli, Walter M. Diggelmann, Jürg Federspiel, Hugo Loetscher, Jörg Steiner, Otto Walter, Paul Nizon, Adolf Muschg, Herbert Meier, Erika Burkart, Peter Bichsel e Christoph Mangold), l'appendice unisce anche una tavola dei principali romanzi apparsi tra il 1959 ed il 1973: ebbene, scorrendo questi due repertori, si nota agevolmente che una gran parte delle opere sono state pubblicate dai principali editori germanici, spesso in edizioni che appaiono contemporaneamente in Svizzera e in Germania.

Profondamente diversa la situazione dei venti autori romandi, poeti e romanzieri, intervistati da David Bevan nel già citato volume Ecrivains d'aujourd'hui: Georges Bourgeaud, Nicolas Bouvier, Maurice Chappaz, Pierre Chappuis, Jacques Chessex, Jean Cuttat, Vahé Godel, Anne-lise Grobety, Philippe Jaccottet, Roger-Luis Junod, Monique Laederach, Jean-Marc Lovay, Jacques Mercanton, Jean-Pierre Monnier, Jean Pache, Anne Perrier, Georges Piroué, Alice Rivaz, Pierre-Alain Tâche e Alexandre Voisard. Certamente, anche in questo caso un numero non irrilevante di opere ha potuto essere pubblicato in Francia; ma il peso e la distribuzione della Francia all'interno del catalogo è ben diverso da quello della Germania. Intanto, laddove Germania può significare Colonia, Monaco, Francoforte o Berlino, Francia risulta sinonimo di Parigi, a causa di una centralizzazione culturale ed editoriale ben nota, nel complesso poco propensa ad accordare spazio alle periferie, e che solo negli ultimi decenni ha cominciato ad essere realmente messa in discussione. Ma soprattutto, il luogo di pubblicazione tende a suddividere gli autori considerati in due categorie: quelli che pubblicano prevalentemente in Francia, e quelli che si affidano invece all'editoria locale. Naturalmente, non ci si stupirà di osservare che la maggior parte dei libri di Philippe Jaccottet, che vive a Grignan, nel sud della Francia e che ha saputo dare alla cultura francese le traduzioni di Hölderlin, Rilke, Musil e Ungaretti, siano apparsi a Parigi da Gallimard; assai più interessante sarà invece la scelta di campo, o l'accettazione di un'oggettiva lontananza della capitale, che caratterizza totalmente o tendenzialmente l'opera di quasi tutti gli altri scrittori. Come spiegare, per non fare che l'esempio più significativo, che quasi l'intera opera narrativa di Jaques Mercanton, scrittore di sicuro respiro europeo, amico personale di James Joyces, rinomato saggista e professore universitario, abbia visto la luce tra Losanna, Ginevra e Neuchâtel?

Il confronto tra le due aree culturali, che non è ora possibile approfondire come meriterebbe, suggerisce dunque l'esistenza di un rapporto assai diversificato con la cultura di riferimento; da una parte la Svizzera tedesca può dialogare senza particolari difficoltà con una Germania culturalmente molto decentrata, in una situazione che vede una città come Zurigo porsi agevolmente su un piano di parità con Francoforte o Stoccarda; in questa prospettiva, lo scrittore della Svizzera tedesca può considerare con scarsa o nulla animosità la propria nazionalità elvetica, e può usare o sentirsi attribuire la qualifica di "svizzero" senza grandi patemi d'animo. Si aggiunga, ora, per completare il quadro, la posizione geograficamente, demograficamente ed economicamente maggioritaria della Svizzera tedesca in seno alla Confederazione Elvetica; l'esistenza di una dialettalità diffusa nelle forme dello Schwyzertütsch, gelosamente difeso e a cui qualcuno propone persino conferire la dignità di lingua autonoma; la presenza sul territorio di numerose e notevoli istituzioni culturali, e infine l'importanza di una tradizione letteraria antica e riconoscibile, che ha saputo da tempo partecipare attivamente, e non certo in modo provinciale, al dibattito culturale tedesco (basterà ripetere ancora una volta il nome di Gottfried Keller?); si aggiunga tutto ciò, e non parrà strano che la monumentale opera di Werner Gunther, dedicata sostanzialmente alla poesia svizzera di lingua tedesca, non solo si possa tranquillamente intitolare Dichter der neueren Schweiz, ma non senta il bisogno di dedicare neppure una riga della sua introduzione all'esistenza o meno di una letteratura svizzera. Da questo punto di vista, il problema non esiste, o è trascurabile.

Ben diversa la condizione dello scrittore svizzero francese; e dal momento che sarebbe ora troppo complesso riassumere le varie modulazioni storiche del suo rapporto con Parigi (sempre oscillanti tra il desiderio di arrivarci, uscendo da un paese che sente come provincia, e il fiero riconoscimento di una propria identità, non provinciale ma regionale, proprio in contrapposizione all'egemonia parigina), basterà affidarsi ad alcune delle dichiarazioni raccolte da David Bevan.

Così Jean Pache, per esempio, ricostruisce la propria vicenda editoriale parigina :

C'était dans les années soixante, dans la première vague de snobisme parisien à l'égard des "populations disséminées" qui parlaient français. Elle toucha d'abord la Suisse romande. Je n'étais pas le seul intéressé d'ailleurs: Chessex, avec son premier ouvrage en prose, La Tête ouverte, a paru dans une collection parallèle. La collection blanche éditait le premier roman de Roger-Louis Junod... Paris commençait donc à s'intéresser à l'extérieur; après il y a eu les Canadiens et les Belges - je ne sais plus dans quel ordre -. On observa une manière de "tournus". Avec un oeil un peu sarcastique, on peut reconstruire l'histoire et voir que le parisianisme n'a jamais cédé devant quoi que ce soit, mais s'est reconverti chaque fois en fonction des autres. Les écrivains qui ont à peu près mon age, cinquante ans - un peu plus, un peu moins - ont eu de la chance, comme ceux qui furent dans les affaires. Le livre n'a pas fait bande à part. Je crois pourtant que les difficultés sont en train de devenir beaucoup plus grandes pour le livre comme pour le bâtiment. Dans une société, ce sont ces domaines qui semblent menacés d'abord dans toute crise.

Pour ce qui est de la seconde partie de la question - l'existence ou non d'une littérature "romande" - j'ai une vue assez particulière, bien que je ne sois pas seul de mon opinion. Moi, je n'y crois pas. La Suisse romande, comme d'ailleurs l'ensemble de la Suisse, est une association d'intérêts de hasard - et parfois d'affinités, parce qu'il ne faut pas les nier - mais il y a autant de divergences entre un Valaisan et un Vaudois, un Vaudois et un Genevois, un Genevois et un Neuchâtelois qu'il y en a par rapport à l'ensemble de la Suisse. J'entends que nous avons peut-être en commun un langage, mais le fédéralisme est ce qu'il est... Je ne considère pas qu'il y ait une littérature romande, ou alors elle est régionaliste et ne m'intéresse pas. En revanche, il y a des gens en Suisse romande, comme sans doute au Québec, en Belgique, ou dans les pays francophones de l'Afrique et d'ailleurs, qui construisent une oeuvre littéraire francophone - elle vaut ce qu'elle vaut - tributaire de près ou de loin d'un héritage culturel qui nous vient - qu'on le veuille ou non - d'abord et en grande partie de la France. Ce n'est pas une question de soumission à un pouvoir, c'est un état de fait. (pp. 149-50)

Sinteticamente categorico, anche Jacques Mercanton smentisce l'esistenza di una letteratura romanda :

On ne peut pas parler d'une littérature romande, parce qu'une littérature se définit par la langue dans laquelle elle est écrite. Or, il n'y a point de langue romande et il n'y en a jamais eu. Ainsi, donc, le terme de "littérature romande", même si on en fait emploi assez souvent, n'a aucune signification.

Più analitico, ma non più incoraggiante, Philippe Jaccottet :

Ma réponse ne sera peut-être pas la plus encourageante pour votre projet... Il me semble qu'il y a eu une littérature romande, qu'on peut appeler "romande", autour de Ramuz, beaucoup plus qu'il n'y en a maintenant. C'est-à-dire qu'à mes yeux Ramuz et son groupe sont les seuls qui aient vraiment pensé qu'on pouvait faire quelque chose, qu'on devait faire queqlue chose de différent de la littérature française. [...] Il me semble qu'il n'y a pas eu de véritable suite à celà. L'apport de Ramuz a été important dans la mesure où il a atteint, lui, un certain statut, ce qui est encourageant pour tout écrivain romand. Mais au-delà, je ne pense pas qu'il y ait aucune véritable influence poursuivie, dans la mesure au moins où on n'a pas continué dans cette direction d'une autonomie par rapport à Paris.

Non solo nelle vicende editoriali, dunque, ma più in generale nel rapporto tra regione linguistica e cultura nazionale di riferimento, ossia nell'ambito della modellizzazione culturale, bisognerà individuare gli aspetti più profondi e interessanti delle tre principali aree linguistiche svizzere, riconoscendo l'esistenza di una dialettica costante tra apertura e chiusura che, unitamente alla marginalità geografica e all'oggettiva estraneità politica, attraversa l'intera storia della cultura in questo paese, privilegiando ora l'appartenenza ad una grande cultura nazionale (tedesca, francese, italiana), ora l'affermazione, che può assumere valenze positive o negative, a seconda delle circostanze e dei punti di vista, di una propria identità regionale. Messa in questi termini, la faccenda riguarda insomma non solo e non tanto le vere o presunte peculiarità stilistiche, tematiche o ideologiche di una vera o presunta "letteratura svizzera di lingua francese, italiana o tedesca"; ma anche e soprattutto l'atteggiamento di fondo che ogni scrittore, ogni area culturale e ogni epoca storica assume nei confronti della cultura nazionale di cui, volente o nolente, fa parte.

Neppure la Svizzera italiana, di cui sin qui non si è ragionato, sfugge alla morsa di questa condizione; anzi, è destinata a viverla in maniera ancor più radicale e drammatica. Infatti, le dimensioni e l'assetto della Svizzera francese sono in qualche modo sufficienti a garantire la sopravvivenza culturale su scala regionale (tre importanti città universitarie, oltre alla bilingue Friborgo; un pubblico potenziale di almeno un milione di abitanti; la presenza di numerosi editori di buon livello e di discrete dimensioni; basterebbe rammentare che un colpo decisivo al monopolio editoriale parigino è stato portato proprio dalle edizioni losannesi L'Age D'Homme, che pubblicano, insieme a molti testi svizzeri, una collana di letteratura slava tra le più ricche ed importanti su scala europea), mentre si è già accennato alla situazione favorevole e in qualche modo privilegiata della Svizzera tedesca. La Svizzera italiana, al contrario, possiede dimensioni assai più modeste e uno stato di salute culturale molto meno rassicurante: nessuna struttura universitaria, una popolazione largamente inferiore al mezzo milione di abitanti, un'editoria non priva di meriti ma a tutt'oggi incapace di far giungere le proprie pubblicazioni sul mercato italiano. Ciò non impedisce che, anche in quest'area, fioriscano pubblicazioni di carattere letterario e saggistico; ma impone ai loro autori una scelta obbligata. L'opzione regionalistica, infatti, non offre in questo caso nessuna possibilità di reale sopravvivenza, e le regole del gioco sono imposte, in maniera più netta di quanto possa avvenire nelle altre regioni linguistiche, dalla situazione letteraria e editoriale italiana. D'altra parte l'Italia è culturalmente assai diversa dalla Francia, e la vicinanza, non solo geografica ma proprio culturale, di un polo come Milano (ma non molto più distanti si trovano Torino, Firenze o Genova) può agevolare notevolmente il lavoro dei singoli autori. Non sarà dunque stupefacente osservare che uno dei maggiori poeti italiani viventi, Giorgio Orelli, sia svizzero, e risieda nella cittadina di Bellinzona; o che la produzione narrativa di Giovanni Orelli, edita per lo più tra Milano e Torino, possa costituire una tappa significativa del romanzo italiano del dopoguerra.

Certo è che, per lo scrittore svizzero italiano, la scissione quasi schizofrenica tra patria di residenza e luogo ideale della scrittura è pressoché inevitabile; e che, misurata all'interno di quest'area, la domanda di Guggenheim richiamata all'inizio di questa conversazione (la Svizzera: "Heimat oder Domizil") rischia di essere, su di un piano letterario, una domanda retorica. Si potrebbe però aggiungere che, al di là della ricerca letteraria individuale, la Svizzera italiana potrebbe avere un ruolo importante all'interno della cultura italiana, se sapesse proporsi all'interno di essa come tramite ideale verso l'Europa centrale. Ma per sviluppare questo discorso, che finora è stato purtroppo più utilizzato in termini di retorica politica (utilizzando le simpatiche metafore di "ponte culturale" o di "terra di frontiera"), che trasformato in concrete operazioni culturali, sarei obbligato a presentare la rivista letteraria "Idra", di cui sono redattore realizzata nella Svizzera italiana ma edita a Milano e diffusa in Italia, e che tenta di ottenere appunto un simile risultato affiancando testi italiani contemporanei alle traduzioni di autori di lingua tedesca o francese sin qui ignoti al pubblico italiano. Scorrendo il sommario dei suoi quattro anni di attività, si ritroverebbero molti degli scrittori che ho avuto modo di citare in questa chiacchierata; e altri, che l'ampiezza dell'argomento non mi ha nemmeno consentito di nominare. Ma, per non dover parlare di qualcosa che mi riguarda personalmente, e per mettere un punto fermo ad una conversazione che temo già sin troppo lunga, mi arresto qui, e cerco di concludere.

4. Conclusioni

Abbiamo lasciato per strada il giovane studioso spagnolo, che è stato così utile come guida attraverso le intricate problematiche della situazione elvetica; e che a questo punto, dopo tutti questi ragionamenti, avrà pure deciso come impostare la sua tesi di laurea. Volendo per gratitudine, affidargli il compito di concludere, provo a farlo secondo una modalità che non spiaceva a Friedrich Dürrenmatt, il quale la utilizzò in uno dei più "svizzeri" tra i suoi romanzi, e cioè nella "commedia in prosa" Greco cerca greca, che offre al lettore la scelta tra due possibili finali. Ecco dunque le possibili conclusioni del giovane studioso spagnolo, sotto forma di immaginarie pagine di diario :

a) Conclusione cinica e realistica

Ho ormai concluso il mio soggiorno in Svizzera, e ho raccolto tutto il materiale sufficiente per stilare una tesi di laurea tradizionale e mediocre, ma tecnicamente inoppugnabile, che mi consentirà di ottenere senza difficoltà il massimo dei voti. Esaminerò le tre maggiori letterature della Svizzera (alla cui esistenza non credo minimamente, ma che è più comodo considerare esistenti), ne studierò i temi, la tradizione e alcune particolarità linguistiche e stilistiche. Non mi sarà difficile, in un secondo tempo, pubblicarla, e ricavarne una traduzione in francese (e forse in tedesco); à ciò farò seguire due antologie, che penso di intitolare Nueva antologia poetica suiza e La novela suiza, per la pubblicazione delle quali otterrò sicuramente una sovvenzione da parte dell'organizazione culturale Pro Helvetia (ho già preso contatti in tal senso). Queste importanti pubblicazioni, insieme a un buon numero di articoli specialistici che andrò scrivendo, mi dovrebbero permettere di partecipare con successo ai concorsi universitari, e di diventare professore di letteratura comparata.

b) Conclusione tragica

Sono stato ingannato. Non so più nemmeno dire se è la Svizzera a non esistere, o la letteratura. All'inizio era l'entusiasmo, la freschezza di un libro, la profondità delle emozioni. Ma adesso? Ragionamenti, categorie, problemi sociopolitici. Non, non è questa l'arte che sognavo di conoscere. Non mi laureerò. Non me ne importa più nulla.

c) Conclusione spettrale

"Non so per chi scrivo. Non so chi sono quando scrivo. Non so chi sono quando non scrivo. Non so neppure bene in che lingua scrivo." Ho dimenticato il nome dello scrittore che mi diceva queste parole nella stazione di non so quale città svizzera. Ginevra? Soletta? Locarno? Che importa. La letteratura che mi interessa, e che ritrovo persino o soprattutto in un paese strano come la Svizzera, è quella che ha perduto se stessa, e accetta di non ritrovarsi. Quella che vive in esilio, che teme di non avere futuro, che si definisce nel proprio non definirsi. Osservo come curiosità (o è qualcosa di più) che una delle opere pubblicate in Svizzera negli ultimi anni e più famose in tutta Europa è la trilogia della disperazione di Agota Kristof. Agota Kristof non è svizzera, ma cecoslovacca. È una cecoslovacca in esilio che non parla della Cecoslovacchia. È una donna che vive in un paese straniero e scrive romanzi sulla vita senza parlare della sua vita. È una scrittrice che dice spietatamente la verità mentendo. È una scrittrice costantemente altrove. Anche se probabilmente la mia tesi sulla letteratura in Svizzera non sarà accettata, la inizierò parlando di Agota Kristof.

A voi, infine, la scelta

Conferenza tenuta a Lisbona, presso la Casa Fernando Pessoa, nel 1993. Da allora, naturalmente, alcune cose sono mutate nel panorama svizzero cui si allude nel testo, nuovi libri sono apparsi, anche in relazione alle problematiche culturali accennate. In particolare, comunque, si deve almeno osservare che la situazione della Svizzera italiana è cambiata, rispetto alla succinta descrizione che qui se ne fa, almeno in una cosa: da alcuni anni esiste una università, per ora strutturata in tre facoltà (Architettura, Economia, Scienze della Comunicazione). Questa novità non modifica, per ora, il ragionamento qui proposto: i rapporti tra università e letteratura sono, al momento, sostanzialmente inesistenti, e l'influsso che un polo universitario potrebbe culturalmente esercitare sul territorio non è ancora visibile.

Fabio Pusterla
in Hesperos