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Anna Felder
Le Adelaidi, Bellinzona, Sottoscala, 2007

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  En bref et en français

L'indiscutable talent d'Anna Felder se confirme avec cet objet littéraire singulier, équilibré et cohérent. Un bref roman de 63 pages où l'auteur poursuit sa recherche sur la langue et sur la narration, entre hermétisme et symbolisme. Un homme s'y confronte à différentes femmes, ces "adélaïdes" — sans dimension érotique. L'homme, un grand-père, n'est pas simplement un individu, il semble représenter quelque chose, "ployant sous la grande croix qu'il sentait sur ses épaules, lourde des histoires et des misères de chacun". Exigeant, le livre fascine dans ses passages obscurs et étonne par sa lucidité.

 

  Critique, par Yari Bernasconi

Anna Felder - Le Adelaidi

Il talento di Anna Felder, che di per sé sarebbe già indiscutibile, si conferma una volta di più col romanzo breve Le Adelaidi , pubblicato nel 2007 da Sottoscala. Colpisce ancora il coraggio di una scrittura protesa verso un'inesausta sperimentazione linguistico-narrativa, ai confini del simbolismo e dell'ermetismo; affascina la difficoltà di un dettato denso e irto di passaggi oscuri; stupisce, infine, la lucidità che lungo le 63 pagine del libro costruisce un oggetto letterario equilibrato e coerente.

Il percorso del romanzo si sviluppa attraverso l'opposizione di un uomo, Ottone, con diverse figure femminili, le Adelaidi. Un'opposizione sempre in primo piano e legata in particolare al simbolo della croce: come si dice nelle prime pagine, infatti, «trovandosi in piedi, l'uomo Ottone veniva a ricordare il tronco verticale della croce; l'Adelaide distesa poteva raffigurare l'asse traversa». E la croce è immediatamente un anello di congiunzione: tra generazioni e cicli vitali («così si appartenevano per mesi e stagioni, si moltiplicavano nelle croci di case e parenti, figli di figli»), tra gli spazi («croci di luoghi pubblici e privati come quelle del Campo Santo») e tra i livelli narrativi (croci «che portavano nello scollo le signore di turno chiamate in casa, io compresa: Schwestern si dicevano anche se suore non erano; non eravamo»).

Meno evidente e immediato è il concetto di “Adelaide” (in tedesco è il nome Adelheid , dove spicca Adel , “nobiltà”), soprattutto perché si nutre della sua stessa, intrinseca ambiguità: da una parte il punto di vista di Ottone, la sovrapposizione di diverse Adelaidi («senza volerlo sovrapponeva Adelaidi su Adelaidi così da trovarsene davanti sempre una sola. La giusta»); dall'altra la posizione delle figure femminili-Schwestern (io narrante inclusa), continuamente tendente all'Adelaide unica («Margherite o Pie che si chiamassero, Lea io mi chiamavo, e Cristina e Assunta su su fino alle Schwestern abbronzate Lea compresa, con la nostra brava croce al collo, chiamate a turno Schwester Tina, Schwester Betty in sandali bianchi, a tener vivo in casa Ottone, in nome dell'Adelaide, un amore mai finito»). Non c'è nulla di erotico, beninteso, nel rapporto tra l'uomo e le Adelaidi: basti pensare che l'io narrante insiste sull'uomo di cui è innamorata («Giancarlo mon amour»), o che più di una volta compare Giulia, la nipotina di Ottone, che è quindi nonno. Anche l'uomo Ottone, del resto, sembra essere la rappresentazione di qualcosa di più complesso: «stava curvo per la gran croce che sentiva addosso, pesante delle storie, delle miserie di ognuno».

Solo due oggetti riescono ad avvicinare delle risposte. Il primo è la bilancia: «“Pesa? Pensa,” precisa Ottone»; o, con più evidenza, nell'ultimo passaggio del libro: «una volta di più si capì come la domanda, anche quella di vivere, suonasse per lui risposta, inutile discutere. Ne faceva prova per virtù innata la bilancia in imperterrito equilibrio lì a portata di mano: guardate la bilancia». Il secondo è la poesia di Federico Hindermann (a cui è dedicato l'intero libro), che funge da capitolo “0”, posizionata tra il dodicesimo e il tredicesimo capitolo: «“Tenga,” mi disse [Ottone] mettendomi in mano il capitolo zero, “se ne serva”»: come un toccasana, un elisir di lunga vita.

È probabilmente quello che mi sentirei di dire di questo affascinante esperimento a tutto campo, Le Adelaidi : tenete, servitevene! Perché invita, spinge alla riflessione, ma soprattutto ha la capacità di trasformarsi repentinamente e sorprendere a ogni livello.

Yari Bernasconi

 

  Revue de presse


Vita e morte in un puzzle di ricordi

Prendendo in mano e soppesando Le Adelaidi , non rimarranno stupiti i lettori di Anna Felder, abituati al volume leggero, ad una quantità distillata di frasi, a brevi racconti, pezzi teatrali succinti, e romanzi al limite del racconto lungo. Il nuovo libro, stampato dalle edizioni Sottoscala a Bellinzona, di imminente uscita, è la storia di un uomo e di molte donne, che si snoda per evocazioni, attraverso ventisette capitoli concisi. Ad essi si aggiunge, non come intermezzo né digressione, ma piuttosto a fare da perno, un capitolo 0, posto esattamente a metà del testo, composto esclusivamente da una citazione di quattordici versi, che sono la prima sezione di una poesia di Federico Hindermann. Sono in tutto una sessantina di pagine nelle quali vengono disseminati indizi, richiami, riprese, memorie, in un sovrapporsi costante e serrato.

Il personaggio centrale, verticale, dritto, in pieno sole, più alto di un gradino , è Ottone, a cui spetta il compito di dirigere anche involontariamente il flusso della memoria, con un tocco di amnesia strategica nel non ricordare nomi, episodi, o a confonderli quasi a bella posta. Più precisi, invece i ricordi delle donne che ruotano attorno alla coppia Ottone – Adelaide. Infatti quella di Ottone è un'esistenza legata alle donne, dall'Adelaide in primis, che nella sua immobilità, inferma, su una branda, rappresenta, icona e titolo allo stesso tempo, le infinite variazioni di femminilità presenti e passate , dalle più remote, come la bambina Manù, ricordo di un'estate d'infanzia, alle più recenti infermiere che accudiscono la malata – le Schwestern –, fino all'Assunta. Quest'ultima è una presenza costante, sia come personaggio che come sonorità disseminata nel testo, anche se paradossalmente si assentava, mesi interi ai laghi si assentava a ricordare , e viene accompagnata da immagini surreali, legate al motivo all'acqua, un motivo già caro ad Anna Felder sia esso declinato in forma di lago, fiume, o pioggia.

Sono molti i motivi ricorrenti, così come sono innumerevoli gli indizi che annunciano o ripropongono i diversi frammenti del puzzle, proposti come segnali, decontestualizzati e ricontestualizzati ogni volta: la domanda di Ottone ad una giovanissima Adelaide nel capitolo 1, dove siamo bambina , è riproposta dieci capitoli dopo a Manù, con un dove vai bambina che rincorre l'antico gusto del gelato alla vaniglia. All'interno dello stesso capitolo 10 si ritrovano elementi come il sole, il cielo, un nastro per capelli. Non si liquefa solo il pezzo duro , il gelato, ma anche il personaggio senza nome che ad un tratto si manifesta e a cui verrà regalato un libro: potrei chiamarla Manù, le assomiglia, liquefatta anche lei . Leggiamo come si scioglie il ricordo di Manù, in una sequenza dal ritmo danzante, non priva di rime: si disfaceva come un cielo, man mano che le lacrime scendevano, man mano che la lingua leccava, e Ottone in pieno sole […] andava sicuro che finito il gelato il nastro poi toccava a lui . Il motivo del regalo, dell'omaggio, riproposto costantemente attraverso Le Adelaidi , viene associato, sempre nel capitolo 10, al libro che Ottone sceglie da una pila e che porge alla misteriosa presenza che si vede e non si vede, a cui dà del Lei, ricambiato con un tu che svela un certo risentimento: il libro era un regalo di Natale, ed ora, a causa di un vuoto di memoria, o un atto mancato, si trasforma in un controdono.

Il brano, ma poi tutto il testo, va anche osservato per il modo in cui vengono resi i giochi di luce e un'atmosfera quasi ultraterrena, – valga questo prezioso esempio per tutti: Scintille d'oro schiaffavano la stanza, scherzi di schegge in fuga - ma quest'attenzione alla disposizione di luci e ombre, ai riflessi, al luccichio di una superficie, libro o lago che sia, è una costante; così come lo è il riferimento alla musica, a più livelli della scrittura, nelle sequenze, all'interno della frase, nella scelta dei suoni. E questo far risuonare i nomi delle protagoniste, declinati innumerevoli volte lungo il testo, considerando che esse sono in conclusione tutte Adelaidi, non può fare a meno di evocare operazioni di sapore nabokoviano, pensiamo alle acrobazie linguistiche in Ada o ardore .

Infine, tra moltissimi altri esempi possibili, si tenga d'occhio un oggetto familiare nell'opera di Anna Felder, con ruoli anche di prim'attore, come nella pièce teatrale Domani pesce (2005) nelle Adelaidi: il tavolo – fronde riflesse fremevano sul tavolo – presente nei ricordi di gioventù e luogo prediletto da Ottone dove “stendere” la realtà su un piano a due dimensioni, come in una fotografia, in un foglietto, così da facilitarne la sovrapposizione ad altre istantanee, ad altri foglietti, ricettacoli delle innumerevoli immagini, ognuna in quanto pezzo mancante per ricostruire l'unità di senso della vita.

Roberta Deambrosi
Giornale del Popolo
06.10.2007

 

Page créée le: 08.04.08
Dernière mise à jour le: 24.07.08

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