Flavio Zanetti

Flavio Zanetti, 1935, è originario di Bellinzona. Studi alle Università di Berna, Vienna, Firenze e Berlino. Laureato in lettere all’Università di Berna nel 1960. È stato giornalista all’Agenzia telegrafica svizzera, all’Expo 64 di Losanna, alla Corrispondenza politica svizzera e, dal 1974 al 1996, alla Radiotelevizione svizzera di lingua italiana quale responsabile della Communicazione e delle PR.

Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e pubblicazioni occupandosi in particolare di problemi riguardanti i rapporti interconfederali.

Un amante fedele della Svizzera accarezza e fustiga il suo Paese e le sue quattro regioni linguistiche in cinque lettere d’amore, con la viva speranza di vedere la Confederazione elvetica piu unita e forte al suo interno e più aperta verso l’Europa e il mondo.

 

Attualità di un curioso postulato

Nel 1963 il parlamentare ticinese Franco Maspoli presentava al Consiglio nazionale il postulato "In difesa delle stirpi" la cui lettura, a quasi 40 ami di distanza, suggerisce più di una considerazione per certi suoi risvolti di attualità.

Nello sviluppare il suo intervento il postulante muoveva dalla constatazione che il federalismo, svizzero stava perdendo la sua vitalità a causa delle tendenze centralizzatrici, a loro volta conseguenza del forte sviluppo economico, dello sfruttamento del territorio, della tecnicizzazione che spingono il governo federale a legiferare sempre di più togliendo ai cantoni parte della loro indipendenza.

Preoccupato per questa evoluzione, il consigliere nazionale ticinese, per rafforzare il federalismo ricorre a una serie di proposte di cui la più originale è quella che dà il nome al suo postulato: assegnare a ognuna delle tre stirpi del Paese (stranamente non si fa cenno ai romanci) 8 rappresentanti in seno al Consiglio degli Stati, oltre ai 2 senatori per ogni cantone.

Forse perché la proposta ha un infelice sapore di corporativismo etnico e la sua attuazione pratica appare difficile se non impossibile, essa non ebbe alcun seguito, così come tutto il postulato non incontrò eccessivo interesse da parte del Consiglio federale. Eppure quell'intervento anticipava preoccupazioni e suggerimenti che, con il passare degli anni, hanno ulteriormente guadagnato di attualità. Le preoccupazioni sono espresse nei ripetuti accenni, fatti nel testo del postulato, al rischio della disgregazione del paese di fronte alla prospettiva del processo di integrazione europea, allora agli inizi, nonché nell'allentamento della coesione interconfederale. Non sono, queste, due realtà che caratterizzano purtroppo, oggi ancor più di ieri, la convivenza elvetica? Non abbisogna il federalismo di essere ridefinito e attualizzato? E i suggerimenti di allora non sono per nulla superati dal tempo. Ne ricordiamo alcuni: aumentare il numero dei consiglieri federali per assicurare la presenza di uno svizzero italiano (ma anche, si potrebbe aggiungere oggi, per alleviare il lavoro dei membri del governo), garantire una adeguata presenza di italofoni nell'amministrazione federale e in quelle camere del potere giudiziario federale che trattano casistiche di portata nazionale affinché il pensiero e la mentalità dell'etnia italiana vengano espressi; un maggiore impegno della R e della TV a favore della conoscenza, della comprensione e quindi della coesione nazionali.

Bastano questi esempi per sottolineare l'attualità di questi suggerimenti. Oggi, le "stirpi" svizzere vivono sempre più la loro individualità, sono forti, anche quelle minoritarie, entro i loro propri confini e sembrano coltivare con fervore il loro isolazionismo, invece di partecipare al rafforzamento della centralità pluralistica dello stato confederale. Uno stato che, per partecipare al dialogo europeo, ha bisogno di coesione e unità nella sua diversità e pluralità etnica.

Flavio Zanetti

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Flavio Zanetti, 1935, originario di Bellinzona, domiciliato a Muzzano (TI). Studi alla Scuola cantonale superiore di commercio a Bellinzona e alle università di Berna, Vienna, Firenze e Berlino. Dottorato in lettere e storia nel 1960 all'università di Berna. Lo stesso anno inizia l'attività giornalistica presso l'Agenzia telegrafica svizzera a Berna che lascia nel 1962 per assumere la funzione di capo stampa di lingua italiana dell'Expo 64 di Losanna. Dal 1965 al 1974 è redattore capo dell'agenzia stampa Corrispondenza politica svizzera a Lugano. Dal 1974 al 1996, capo della Comunicazione e delle PR della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana a Lugano. Dal 1952 al 1982 ha anche diretto il mensile " Industrie e lavoro ", rivista per i lavoratori italiani in Svizzera. Dal 1978 al 1994 ha firmato la rubrica mensile " La voce delle Svizzera italiana " nel quotidiano " Der Bund ". Ha collaborato e collabora a giornali, periodici e pubblicazioni librarie occupandosi in particolare di problemi riguardanti la comprensione interconfederale. Per questo suo impegno, nel 1984, ha ottenuto il Premio Oertli e, nel 1995, la " zinnerne Kartoffel " della Corporazione di Wiedikon (ZH). Nel 1998 ha pubblicato il libretto " Cara Svizzera ", Editore Dadò, Locarno. E' attualmente delegato per la Svizzera italiana della Fondazione Catena della Solidarietà.

 

Entretien avec Flavio Zanetti, par José Ribeaud

Les littératures suisses en quête de sens

Ce n'est pas seulement parce qu'il aime la Suisse romande, mais aussi parce qu'il la connaît bien que le journaliste tessinois Flavio Zanetti porte sur elle un regard sans complaisance. Dans son récent essai intitulé Cara Svizzera (Armando Dadò Editore), l'auteur stigmatise l'attitude d'ignorance et d'indifférence qui caractérise les relations entre les communautés linguistiques, en particulier le paternalisme alémanique et les préjugés romands. Il tient tout de suite à préciser que "la Suisse italienne, ce n'est pas seulement le Tessin, mais le Tessin et les vallées italophones des Grisons. Les Suisses, en particulier les Romands, oublient cette composante de la notion de Suisse italienne."

- Dans votre ouvrage Cara Svizzera, vous déplorez la méconnaissance et le désintérêt des Romands pour la Suisse italienne. A qui la faute si "nous entretenons l'illusion de nous connaître"?

- Vue de Suisse italienne, cette méconnaissance est surtout le fait des Romands. Ce sont des francophones en tant que majoritaires parmi les minorités latines qui devraient faire l'effort de s'intéresser à nos aspirations, à nos réalisations, à nos espoirs et à nos désillusions. En réalité, ce sont les Suisses italiens qui vont à la rencontre de la Suisse romande pendant leurs études, par la lecture de la presse et par l'apprentissage précoce du français.

- Les Alémaniques sont-ils plus attentifs à votre situation de minorité culturelle ?

- C'est évident. Il y a à cela des raisons historiques, économiques et géographiques. L'axe nord-sud a toujours été plus important et plus fréquenté que le passage est-ouest. A preuve, bien des médias alémaniques - journaux, radio, TV - ont des correspondants permanents en Suisse italienne alors que la Suisse romande, quand elle s'intéresse à nous, fait appel à des collaborateurs occasionnels. En revanche, notre statut de petite minorité contraint nos journalistes à lire aussi bien les journaux de Suisse alémanique que de Suisse romande. Nous sommes donc mieux informés que vous sur les autres régions linguistiques.

- Les Romands, dite-vous, cultivent un antigermanisme déplacé. Mais que dire du paternalisme alémanique à notre égard ?

- L'anti-suisse alémanique des Romands est un phénomène atavique. Il serait temps de l'abandonner. La meilleure manière d'y parvenir serait que vous appreniez bien le bon allemand pour mettre les Alémaniques en difficulté car ils le maîtrisent de moins en moins. Les préjugés des Romands sur la Suisse alémanique me dérangent autant que le paternalisme des Alémaniques à notre égard.

- Croyez-vous aux vertus du quadrilinguisme comme élément constitutif de notre identité ?

- On ne pourra pas sauvegarder la Suisse en tant qu'État si l'on ne préserve pas son quadrilinguisme. Cela ne signifie pas que nous devions tous apprendre les trois langues principales. Je préconise l'apprentissage obligatoire d'un fort bilinguisme. Les Romands devraient connaître à fond l'allemand ou l'italien. A défaut d'un bilinguisme digne de ce nom, les Suisses finiront par ne plus se parler.

- Que pensez-vous des initiatives zurichoises en faveur de l'anglais ?

- Cela me préoccupe vivement. C'est le signe que la Suisse alémanique agit dans son seul intérêt. En outre, elle prétend incarner toute la Suisse. De la sorte, elle marginalise les autres régions. Je sais que l'anglais est une langue importante dans les relations internationales. Mais on peut l'apprendre comme instrument de travail et de rapport économique sans affaiblir la position des autres langues nationales. La globalisation ne doit pas nous amener à abandonner des valeurs fondamentales de notre identité, telles que le quadrilinguisme qui contribue grandement à notre ouverture sur les grands pays voisins.

- La Suisse officielle fait-elle assez pour stimuler la connaissance de la production littéraire des régions linguistiques ?

- Toutes proportions gardées, la Suisse est un des pays qui investit le plus dans la traduction des oeuvres littéraires. Néanmoins, on devrait faire encore davantage. Surtout pour favoriser le bilinguisme afin que chacun soit capable de lire dans une deuxième langue nationale. C'est pour cela que je suis pour le bilinguisme à choix.

Flavio Zanetti est un représentant type du Suisse italien polyglotte, passionné de communication et intéressé à la vie politique, économique, médiatique et culturelle de toutes les régions du pays. Après des études aux universités de Berne, Florence, Vienne et Berlin, il fut responsable de la communication et des relations publiques à la Radio-Télévision de la Suisse italienne. Il continue de jeter un regard critique mais plein d'indulgence et d'humour sur l'état de son pays. Il collabore à différents journaux.

José Ribeaud
FEUXCROISES

 

Cara Svissera ti scrivo

Flavio Zanetti, un po’ irritato e un po’ indignato,
ha preso carta e penna e ha scritto cinque letterine ai suoi connazionali

Flavio Zanetti, publicista, ex responsabile del settore communicazioni e pubbliche relazioni della Rtsi, è un elvetista, un buon patriota. Come lo erano, ai tempi, Arminio Janner, Guido Calgari, Brenno Bertoni. Leggendo il suo libriccino (d’un flato: sono appena una quarantina di pagine), mi è venuto di definirlo un "post-calgariano". In comune con il fondatore della rivista Svizzera italiana (creata nel 1941, chiusa nel 1962) ha l’amore per la sua terra, la convinzione che la confederazione o è quadrilingue o non è, il cruccio per il venir meno della coesione nazionale. Ma di Calgari non ha l’animosità e una certa retorica patriottarda, che a volte sconfinava nel nazionalismo (sia pure sui generis).

Rimbrotto

Cinque lettere, cinque epistole a cinque destinatari. La prima alla Svizzera tedesca, la seconda alla Svizzera francese, la terza alla Svizzera italiana, la quarta ai romanci e la quinta alla confederazione, al Bund. Lettere accorate, dove il rimbrotto, le osservazioni critiche, le arrabbiature prendono spunto da episodi autobiografici: l’ammirazione del padre ferroviere per l’efficienza e l’ordine degli svizzeri tedeschi, la gita a Lucerna (un tempo meta classica delle passeggiate scolastiche), la scuola reclute sulle creste alpine, i soggiorni lavorativi ad Adliswil e in una fattoria vodese. Nel Ticino del dopoguerra, povero e semiautarchico, con poche scuole superiori, salire su un treno diretto oltre san Gottardo era una scelta… obbligata (ossia una nonscelta, un’esperienza da farsi). Per taluni il distacco si tramutava in opportunità, in occasione proficua, sotto tutti gli aspetti, linguistici e professionali; altri, invece, lo vivevano male, una via crucis da interrompere al più presto.

Zanetti conserva di quegli anni buoni ricordi. E proprio quelle impressioni positive, poi andate deluse dai successivi sviluppi, sono all’origine delle cinque missive. Ai connazionali svizzeri tedeschi, l’autore rinfaccia di non assumersi pienamente il ruolo-guida che gli spetta in quanto maggioranza, di rintanarsi nel guscio, di autoisolarsi. Ai romandi rimprovera di essere troppo suscettibili, di pensare solo ai loro interessi (ah, l’alterigia francese), di ostentare un antigermanesimo pregiudiziale.

Ce n’è, naturalmente, anche per i conterranei ticinesi, accusati di versar lagrime d’autocommiserazione per ogni contrarietà. Nei confronti dei retoromanci l’autore è indulgente, anche se non manca di rilevare la loro passività e il loro aggrapparsi alle sottane della sempre sollecita madre svizzera tedesca.

Dolenti note

E il paese intero, lo statto, Berna, insomma la confederazione ? Dolenti note. Qui Zanetti esprime amarezza. Perché si sente tradito, beffato. Al Bund imputa lentezza pachidermica, scarsa reattività (v. riforma totale della costituzione), azioni omertose, l’occultamento deliberato delle pagine nere del suo passato recente. Questo paese, cosí com’è, cosí come si comporta, non gli piace piú. Urge por mano alle riforme, cambiare, aprirsi all’Europa; occore ritrovare le ragioni dello stare assieme, rinnovare giorno per giorno, come diceva Renan, il patto che permette alle varie regioni linguistiche di convivere sotto lo stesso tetto. Perché Zanetti vuole rimanere svizzero "tutto d’un pezzo", per potersi dichiarare europeo.

Orazio Martinetti
(extrait de Cooperazione- www.cooperazione.ch)

Flavio Zanetti, Cara Svizzera, Prefazione di Iso Camartin, Armando Dadò editore, Locarno, 1998.