Il poeta e scrittore chiassese parla di "Blu cobalto con cenere"
la sua nuova raccolta di liriche

Alberto Nessi, artigiano della poesia

È uscita nelle scorse settimane la nuova raccolta di poesie, la quinta, del sessantenne scrittore e poeta chiassese Alberto Nessi, "Blu cobalto con cenere": sessantasei liriche in cui ancora una volta l'autore porta sulla pagina le sue esperienze e le sue osservazioni quotidiane, la natura, i personaggi del suo Mendrisiotto, le sue sensazioni sulla quotidianità. Il volumetto è suddiviso i capitoli : "c'è l'aspetto umano nelle prime due sezioni ("Pericoloso sporgersi" e Radure", ndr)" spiega Nessi, "c'è l'aspetto "vegetale", c'è l'arte, ("Erbario", "Esercizi di lettura"), ci sono i brevi monologhi, che sono la continuazione dei monologhi della raccolta precedente, "Il colore della malva", in cui ognuno racconta la propria storia, una piccola Spoon River dei vivi". E c'è una sezione dedicata alla madre ("Corona per mia madre").

Ancora una volta ne risulta l'interesse di Alberto Nessi per il racconto, per le vicende degli altri, raccontate con calore ma anche con rispetto, con pudore.

"Blu cobalto con cenere" è un lavoro stilisticamente coerente con i precedenti. Condivide quanto scrive Maurizio Cucchi nell'introduzione, quando dice che ormai, con il crollo di tutti gli "ismi", le accuse di anacronismo nei confronti della sua poesia hanno perso significato ? Oggi Alberto Nessi è più attuale e più capito di prima?

"Credo che scrivere sia una questione di voce e di sguardo. Se uno ce l'ha, questa voce, questo sguardo, ce l'ha. E poi si manifesta a seconda della strada che fa. In fondo anch'io ho avuto un percorso. Negli anni Sessanta c'era la nuova avanguardia, il Gruppo 63, che condizionava tutta la vita letteraria italiana e anch'io leggevo quei testi. Se si guarda "Appunti per una storia", che è una mia poesia di quegli anni si vede che sono influenzato da quella poetica, più precisamente da Pagliaranti, che era l'unico poeta del gruppo a piacermi davvero; perché che contano, in definitiva, sono i testi, più delle teorie. Non si scrive a partire da una teoria ma a partire da un brivido che può essere emanato da un'immagine, da una sensazione, da una parola.

Guardando a ritroso la strada che ho percorso, forse posso dire nelle mie prime raccolte c'è una verve polemica, una componente sociale più forte. Adesso c'è una maggiore interiorizzazione, c'è una maggiore interiorizzazione, c'è la componente familiare. Dedico alcune poesie alle mie figlie, a mia moglie, a mia madre. In questo senso la mia voce è un po' cambiata, ma la sostanza credo che rimanga."

Per chi scrive queste poesie ?

"Non si sa mai bene. Innanzitutto si scrive per se stessi. È un'esigenza, uno sente qualcosa che gli è rimasto impigliato nel cervello e scrive. Poi però quando comincia a pubblicare si rende conto che c'è un interlocutore, un destinatario. La mia poesia tende ad essere comunicativa, non è solisistica, non è esoterica, non si rivolge soltanto agli addetti ai lavori, agli iniziati. Anzi mi dà un po' fastidio il gergo poetico, il "poetese", l'oscurità vista come valore. Io tendo a comunicare, quindi scrivo anche per coloro che sono semplicemente incuriositi da questa strana cosa che è la poesia. Anche queste persone leggono i miei testi e li capiscono. E mi fa molto piacere che ci sia una rispondenza."

Allora ha un riscontro anche con la gente di cui scrive, con i suoi "personaggi" ?

"Il riscontro potrebbe esserci, ma è una verifica difficile da fare. Quando una poesia è pubblicata non ci appartiene più : fa la sua strada, se ha una strada da fare... Io ho tendenza a "rubare" dei temi o addirittura delle parole a persone che conosco e a trasformarle in poesia. Le metto nel mio alambicco e se il risultato è buono le tengo. Ma a quel punto la parola, o la frase, è diventata un'altra cosa."

Leggendo alcune sue liriche si ha l'impressione di incontrare personaggi del passato, del Mendrisiotto di una volta. Ma molte di queste persone sono invece personaggi del presente.

"Dal momento che si prende la penna in mano tutto diventa memoria: la madre delle muse è Mnemósine. Ma in poesia io parlo quasi sempre del presente o del passato prossimo. Considero la regione in cui vivo come una città di cui esploro le vie, i quartieri: la cultura urbana ha colonizzato tutto. Io vivo in questa città diffusa che negli interstizi conserva resti di cultura paesana. Vivere e scrivere in un territorio così esiguo come il Mendrisiotto mi permette di far penetrare in profondità la mia sonda letteraria, o per lo meno di tentare qualche affondo."

Una figura molto importante, in questa nuova raccolta, è sua madre, a cui dedica una delle sezioni.

"Mia madre era una donna del popolo, da giovane ha fatto la sigaraia. Figlia di un uomo semplice, operaio del comune di Chiasso, analfabeta, mio nonno. Io ho imparato molto da mia madre, anche solo ascoltando la sua parlata. Sapeva guardare le cose senza spocchia e credo che mi abbia trasmesso questa sensibilità di fare attenzione alle cose di tutti i giorni. Ha vissuto quasi tutta la sua vita a Chiasso, gli ultimi quarant'anni quasi sempre in cucina. Eppure aveva uno sguardo ancora chiaro sulle cose."

Le parlava in italiano o in dialetto ?

"Sempre in dialetto. Io sono un dialettofono. E questo lo si vede nell'approccio con il reale. E mi piacciono molto i poeti dialettali italiani, per la loro concretezza. Oggi c'è il terrore del referente, quasi che parlare di cose di tutti i giorni fosse una banalità. Io credo invece che sia un dovere. Il filone della poesia che va verso la prosa nel Novecento è sempre stato un po' trascurato a vantaggio della poesia pura. Che a me fa venire un po' il mal di testa. In una poesia devo fare attenzione alla metrica, al ritmo, alla rima, certo; ma voglio potere utilizzare una parola come "panettone", come ad esempio in "Bar", che ho dedicato a mia figlia."

Il Mendrisiotto come terra di frontiera. In un paio di poesie ci sono riferimenti alla frontiera di oggi, a chi la attraversa, come i clandestini.

"La frontiera ha sempre riguardato la mia esistenza perché è così vicina. Questi temi fanno per forza parte della nostra vita. Vivere sulla frontiera porta al tema della precarietà. Porta a relativizzare il nostro modo di vivere, in modo salutare. E' un antidoto al nazionalismo, che è il peggiore dei mali del nostro secolo."

Sente, in qualità di poeta e scritore, di avere un ruolo anche "sociale", di dover prendere posizione pubblicamente su certi temi ?

"Sento di essere un uomo come un altro. Uno è poeta per una minima parte della sua vita, per il resto è un uomo comune e vivendo nella società è confrontato con i problemi di tutti. Ogni tanto dico la mia, ma non voglio essere il Grillo parlante. Io mi dedico all'artigianato della poesia o della prosa - perché sono anche narratore - e però vivo la vita di tutti, quindi quando capita dico la mia, magari scrivendo un articolo di giornale, più che una poesia. Ci vuole un certo equilibrio fra la partecipazione alla vita di tutti e il distacco necessario per dire qualcosa sull'esistenza, indispensabile per scrivere. In realtà poi oggi il mondo è dominato dall'economia e gli scrittori non contano nulla."

Luisa Ghiringhelli

08.01.2001

 

www.culturactif.ch