Nel suo rifugio di Berzona concepì idee che fecero scorrere fiumi di parole. E ancora oggi...

Il mondo, questo insieme di misteri

A 10 anni dalla scomparsa il ricordo di Max Frisch, lo scrittore che divise in due la Svizzera

Secondo Enrico Filippini, che ben lo conosceva, le origini di tutta l'opera di Max Frisch si possono contenere in una sua massima : "Vivere è noioso, faccio esperienze soltanto quando scrivo". La vita è dunque un lungo tentativo di scrittura, che porta in sé, ben salde, le radici di una diffusa fallibilità.

Da una simile affermazione si può comprendere Christa Wolf quando azzarda una definizione dell'opera e della vita, unitamente: "Non c'è parola, mi pare, che in Frisch compaia più spesso di fallire". Proprio da una simile consapevolezza della fallibilità, talvolta rappresentata con toni comici e grotteschi, nasce forse la grandezza della sua scrittura e del suo insegnamento. Max Frisch pone domande, stradica certezze e non abbraccia mai facili soluzioni consolatorie. Quando in Andorra del 1962 mette in scena il pericolo della superstizione per il "guazzabuglio del cuore umano", vuole indicarci che l'idea stessa dell'appartenenza a un'entità qualsiasi, che sia sociale o politica o religiosa, costituisce il fondamento dell'errore e del male. Nell'Homo Faber del '57, forse il suo scritto più noto insieme all'ironica rilettura del mito nazionale Guglielmo Tell per la scuola, il protagonista Walter Faber, uomo agiato e razionale, ben accorto a non farsi coinvolgere dalle emozioni, si ritrova in una situazione imprevedibile e sconvolgente diventando il protagonista di una vicenda dai risvolti da tragedia greca : si innamora, riamato, della figlia ventenne, di cui non conosceva l'esistenza. Nel romanzo i sentimenti, la professione, l'esistenza stessa si dissolvono in uno scacco doloroso che travolge tutti i personaggi e che spinge il protagonista, ormai condannato alla morte, verso la metamorfosi più impensabile : "Si dice così : se sapessi che ho un cancro allo stomaco mi sparerei una palla nel cervello ! Sono attaccato a questa vita come mai prima, e anche se è solo per un anno, un solo miserabile anno, un trimestre, due mesi (sarebbero settembre e ottobre) continuerò a sperare, pur sapendo che sono perduto".

Questo "padre che distrugge tutto" simbolizza la complessità del disagio che Frisch prova di fronte alla condizione umana e all'organizzazione sociale sul pianeta terra. Si legge nei Fogli di tascapane : "Nei momenti cruciali sembra proprio che il mondo, questo insieme di misteri, non sia nelle mani dell'essere umano". È il settembre 1939 e il militare Frisch scrive queste parole nel diario che deve compilare, per ordine di un superiore, durante i mesi della mobilitazione in Ticino. "Non c'è mai stato un Dio buono, neanche nel Novecento - continua ad annotare -, ma siamo più vicini a Dio, all'interno, proprio quando interno a noi tutto crolla, quando la sua lontananza ci spaventa". Sull'esercito e sulla pace Frisch non smette di porsi e di rivolgere domande, in rivolta perenne contro la certezza che "il Signore sta dalla parte della Svizzera". Così affermerà nel '76, molti anni più tardi, in un discorso tenuto a Francoforte : "È nota la previsione secondo cui il conflitto con l'ambiente assumerà, per il genere umano - in seguito allo sviluppo della sua tecnologia, che è irreversibile -, dimensioni più ampie rispetto a un qualsiasi altro conflitto ipotizzabile fra le nazioni... Non so se la volontà di sopravvivenza della specie basti a trasformare le nostre società in una sola che sia in grado di volere la pace. Lo speriamo. I voti per la pace non ci liberano dall'obbligo di porre la questione riguardante il nostro atteggiamento politico nei confronti di questa speranza, che è così radicale. La fede nella possibilità che la pace si realizzi (e, dunque, che l'umanità sopravviva), è una fede rivoluzionaria".

L'atteggiamento polemico che Max Frisch adotta nei confronti della realtà progredisce secondo una "matematica coerenza" (l'espressione è di Guido Calgari), che adotta sulle realtà un vigile e disincantato sguardo.

Sulla questione dei lavoratori stranieri in Svizzera assume, nel '65, una posizione ancora oggi ricordata : "Un piccolo popolo di signori si vede in pericolo; abbiamo chiamato delle forze lavoratrici, e vengono degli uomini!". Nella già citata Andorra, affronta il problema dell'antisemitismo come una manifestazione esemplare dell'intolleranza, dell'egoismo e della malafede - ma anche delle aberrazioni umane, tout court - in uno Stato contento di sé, ben ordinato e in apparenza virtuoso.

A dieci anni dalla sua scomparsa le domanche che Frisch ha posto non sono state affatto superate o eluse dai tempi che avanzano. Sono domande covate dallo spavento e dall'orrore della Seconda guerra mondiale, ancora oggi un nodo ingarbugliato nelle nostre coscienze di uomini occiden-tali.

Le sentiamo vitali, "troppo" vitali, e per questo temiamo, più o meno inconsapevolmente, la perplessità e l'inquieta intelligenza di chi le ha formulate.

Ermanno Pea

04.04.01