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Felice Filippini

Biografia - Bibliographie - Dialetto, lingua e letteratura nella prosa di Filippini

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Felice Filippini : "Poesie"


  Biografia


Felice Filippini (Arbedo 1917 - Muzzano 1988), poliedrico uomo d'arte noto soprattutto per la sua opera pittorica, esordì come scrittore nel 1943 con Signore dei poveri morti (Istituto Editoriale Ticinese, ma anche Vallecchi, 1955). Il romanzo, che riscosse un successo non solo di pubblico, gli valse la prima edizione del Premio Lugano (lo stesso riconoscimento che l'anno successivo, 1944, avrebbe laureato l'esordio poetico di Giorgio Orelli, Né bianco né viola). Con i successivi Racconti del sabato sera (1947) e il secondo, imponente romanzo Ragno di sera (pubblicato, nel 1950, contemporaneamente da Salvioni e Mondadori), Filippini si guadagnò, invece, rispettivamente il Premio Paraggi e il Premio Schiller.

Accanto a questa produzione letteraria, vanno segnalate una vivace attività di traduttore e saggista, dove spiccano la traduzione de Il barbiere di Siviglia di Beaumarchais (Rizzoli, 1951) e il saggio Figaro ovvero Il primo torto è quello di esser morto: Saggio sul celebre personaggio di Beaumarchais (Edizioni Cenobio, 1952), e la lunga esperienza radiofonica: Filippini fu prima collaboratore, poi responsabile dei programmi parlati della Radio Svizzera Italiana, per i quali adattò, tra l'altro, opere di Pirandello, Max Frisch, Giraudoux, dello stesso Beaumarchais e di Georg Büchner.

 

  Bibliographie

Il Ticino dei giovani, a cura di Felice Filippina, A. Francke S.A., 1945
 
Herr Gott der armen Seelen, Aus dem Italienischen übers. von Adolf Saager, Mit Federzeichnungen des Verfassers, Büchergilde Gutenberg, 1945
 
Racconti del sabato sera, Ghilda del Libro, 1947
 
Procuste ovvero Delle violenze alla libertà dell'arte : Meditazione sulla Biennale e sul congresso di Wroclaw, presso l'autore, 1948
 
Pane del 1900 : Vita ticinese d'un tempo in una casa di dodici figli, Ill. dell'autore, Ed. svizzere per la per la gioventù, 1949.
 
Una corona di ricci : Per definire uno spirito ticinese, S.A. Grassi & Co., 1950
 
Il Cebète : Allegoria e 8 dialoghi poco prima della diana, Ed. Carminati, 1951
 
Figaro ovvero Il primo torto è quello diesser morto : Saggio sul celebre personaggio di Beaumarchais, Ed. Cenobio, 1952
 
Una domenica per piangere : Il racconti, Sciascia, 1959
 
Fare il ritratto di Alberto Giacometti, Ed. Galleria Marino, 1966
 
Autoritratto di una pittura : (Riprod. e poesie dell'artista), Introd. di Giancarlo Vigorelli, Centro internazionale di studi per le arti figurative, 1977
 
Ragno di sera : romanzo, (A. Mondadori, 1950) Salvioni, 2000
 
Signore dei poveri morti, a cura di Flavio Catenazzi, (Istituto editoriale ticinese, 1943) A. Dadò, 2000
 
Rosso di sera : racconto, a cura di Flavio Catenazzi, postf. di Diana Rüesch, I Quaderni di "Cartevive", 2002
 
Poesie, G. Casagrande, 2004

Traductions

Il perdono : Racconto, Übers. von Max Grütter-Minder, Tschudy-Verlag, 1951
 
L'araignée du soir, Trad. de l'italien par Roger Schaffter, Rencontre, 1954
 
Seigneur des pauvres morts, trad. de l'italien par Roger Schaffter, (Ed. des Portes de France, 1945) Ed. L'Age d'homme, 1984
 
Herr Gott der armen Seelen, übers. von Adolf Saager, Huber, cop. 1991

 

  Dialetto, lingua e letteratura nella prosa di Filippini

Dialetto, lingua e letteratura nella prosa di Filippini

La ristampa annunciata delle due maggiori opere narrative di Felice Filippini è innanzitutto motivo di soddisfazione per gli interessati che da lungo tempo desideravano acquisirle alla propria biblioteca personale; ma è anche occasione ed invito a tornare alla prosa di questo notevole artista, dotato di un'energia di rappresentazione e di un agio di scrittura certo non comuni nel piccolo mondo letterario della Svizzera italiana. Tanto più che la sua attività di autore creativo, presto surrogata dall'esercizio quasi esclusivo della pittura, si concentra nello stretto giro di anni che vanno dalla revelazione del Signore dei poveri morti (Bellinzona 1943) alla sua ristampa italiana (Firenze 1955). Tra queste due date si colloca, tra altre prove più brevi, la composizione e pubblicazione della sua prosa d'invenzione di gran lunga più impegnativa, il copiosissimo Ragno di sera, che ritrae una piccola comunità paesana nel momento traumatico di un cataclisma naturalementre il romanzo d'esordio era costruito attorno al trauma individuale di una morte infantile accidentale, biograficamente esperito dall'autore.

La scrittura di Filippini ha anche una fisionomia linguistica molto ben individuata e riconoscibile, in quanto fortemente influenzata dall'ambiente dialettofono in cui egli è cresciuto e in cui fa muovere i personaggi e le vicende narrate. Non però il parlato che, per fare l'esempio attuale di un'autrice di successo come Laura Pariani, irrompe tale e quale sulla pagina anche nella forma originale, ma un dialetto sistematicamente travestito in lingua, da ricostruire in base al calco e ai suoi adattamenti, Né il riconoscimento è sempre agevole, se per un termine come arricciato (Nel Ragno di sera) sarà necessario scavalcare l'omografo di senso magari contiguo ma diverso, per raggiungere l'arisciada o risciada dialettale, che significa propriamente "acciottolato". In Filippini, la materia verbale, pur globalmente ammantata di italianno, rimane cioè ancorata al parlato più terragno, tanto da far esclamare ai lettori di oltre confine dell'epoca. "Ma che italiano scrive quest'uomo!". A un nativo della nostra terra, invece, per quanto coperti dai colori della lingua, i contorni della sinopia dialettale balzano all'occhio sin dalle primissime battute del primo romanzo con tratti assolutamente motivati: È ben qui... che abita Ilario Dellamonica di Pietro ? chiede lo scultore Battista alla famiglia riunita in casa dopo cena, riprendendo con struttura appena sfumata il ticinesismo e lombardismo comune "L'è be' chi che..." ; e poco dopo, il bocca alla madre : ce n'è ancora così del tempo (poi corretto, sopprimendo così), che ricalca il modulo nostrano, pure assai diffuso : gh'è n'è ancamò iscì... e ancora, sempre nella pronuncia della madre : devo vederne ancora di cose ("devi vedenn ancamò da ropp!"). Ma la riposta filigrana del dialetto traspare, si può dire, ad ogni riga e pagina, a cominciare dalle sue forme più caratteristiche ed esposte: si pensi alla giunzione di verbo + avverbio con l'eventuale aggiunta di preposizioni, a cui la lingua popolare ricorre frequentissimamente per sopperire alla propria congenita povertà in certi settori del lessico, oppure per riprodurre analogicamente un modulo già cristallizzato. Nella scrittura narrativa di Filippini, questo tipo di formazione coincide spesso con espressioni chiaramente indiziate : avanzar fuori o avanzar su per "sporgere", far venir su l'anima a gnocchetti per "irritare", "creare disagio" o persino "torturare psicologicamente"; farlo saltar fuori per "ritrovarlo"; camminavano per in giù per "scendevano". Una realizzazione estrema di questo fenomeno è nell'espressione rivolta a Battista dallo stesso padrone di casa, Ilario: una qualche donna giù di lì per Lugano, poi ridimensionata, perché già sufficientemente marcata, in una qualche donna giù per Lugano: traduzione adattamento del modulo pesantemente dialettale "ona quai dona, gió [da lì] par Lugan". Sono procedure di ricalco che ricordano assai da vicino certi passi memorabili dei Promessi sposi, a cui il maggior filologo di questo secolo, Gianfranco Contini, ha felicemente applicato la formula di "parole vestite di cenci fiorentini e impastate di sostanza lombarda": e l'esempio paradigmatico è nella frase La c'è la Provvidenza che è sì un "toscanismo" segnalato, ma anche contemporanea rappresentazione del modo ben lombardo la gh'è. In Manzoni, s'intende, la colorazione vernacolare non è mai particolarmente sgargiante, mentre il realismo violento di Filippini si muove entro una pasta linguistica che ammette anche l'idiotismo più smaccato e gergale, secondo una proporzione e una distribuzione mirate. Di fatto, queste variabilità d'uso sono quasi sempre funzione del personaggio a cui il narratore cede la parola, perché, come ha insegnato Pier Vincenzo Mengaldo nello studio recente sul Nievo narratore, in un testo creativo il problema della lingua è anche - e a volte soprattutto - un problema di "voce". In Filippini, la distribuzione dei dialettalismi più evidenti avviene secondo una gerarchia che si chiarisce ulteriormente, ponendo in relazione il parlato con lo statuto dei singoli personaggi, oltre che con la lingua del narratore. Schematicamente : dal punto di vista qualitativo, nel Signore si dà molto più dialetto nel discorso del padre e in quello di Battista e dei suoi amici, meno, e sia pure con alcuni notevoli scarti, in quello della madre e del protagonista, narrato e narratore, Marcellino, Nel Ragno, invece, la diffusa dialettalità del dettato andrà collegata anche all'uso del discorso indiretto libero. È una fenomenologia governata dalle esigenze della rappresentazione artistica, a illustrare le quali serve porsi sull'osservatorio privilegiato delle correzioni apportate dall'autore sulle stampe successive dei propri scritti, da cui è possibile ricavare un quadro piuttosto eloquente. Va infatti ricordato che, da un'edizione all'altra dei propri romanzi, parziale o totale che fosse, l'autore è andato ritoccandone il dettato, di modo che tra la prima, seconda e ultima versione corrono spesso differenze molto sensibili. Il confronto è già stato parzialmente operato e fatto oggetto di riflessione alcuni anni fa, da parte di Giovanni Bonalumi, in margine al lungo saggio sulla struttura e scrittura del primo libro di Filippini. Il critico vi aveva rilevato "una sessantina almeno di interventi" e, una volta passati al vaglio quelli che gli erano parsi più significativi - meno di venti - ne aveva concluso (ma sono osservazioni rapide, relegate in una nota) che ben pochi di essi apparivano esteticamente motivati. Allo stesso modo, Guido Calgari, molti anni prima, aveva preso in considerazione la lingua del Ragno di sera in una stesura provvisoria, stilando un nutrito "drappello" di quelli che egli considerava tratti tipici filippiniani, senza però preoccuparsi di riscontrarlo con la versione andata a stampa del frattempo, né di vagliare la distribuzione dei dialettalismi rispetto alle voci dei personaggi o del narratore. E, anche in quel caso, il bilancio era stato più giudicativo che giustificativo dell'impiego di determinati arfitici entro la colata verbale del lunghissimo romanzo. Oggi, disponendo di un materiale esaustivo per tutte le stampe, siamo in grado di appoggiare le valutazioni puntuali alla realtà e all'effettiva dinamica del testo e prospettare le diverse possibilità di uso - confermate proprio anche dalle correzione d'autore -, a seconda dell'impiego che lo scrittore fa del mezzo linguistico per soddisfare esigenze estetiche, oppure meramente strumentali. Qui potremo darne soltanto un'illustrazione rapsodica. Intanto, si danno correzioni puntuali e sistematiche che interessano le preposizioni articolate (colle diventa con le ; colla > con la), oppure il tipo riescire, ritoccato in riuscire (così come cotidiana > quotidiana, traverso > attraverso) e che documentano il passaggio da paradigmi scolastici conservativi molto resistenti in una zona periferica come il Ticino, almeno fino alla fine della guerra, a una veste più moderna. In secondo luogo, i regionalismi che nella ristampa fiorentina del Signore, destinata a una circolazione più ampia, rischiavano di non essere capiti in Italia, o fraintesi, sono stati sostituiti con termini maggiormente generalizzati : un uomo vestito in civile diventa in borghese, cinquantino (foglio da cinquanta), cricchiare (scricchiolare); l'elvetismo giorgetto, invece, può essere conservato in quanto spiegato nel corpo stesso del testo: Cos'è il "giorgetto", Baciccia ? - chiese questi all'uomo. - Lo schioppo, Ninetto ! - rispose quello, - e lo zaino, e i pacchetti dell'amante o della mamma. D'altra parte, evidenti ragioni mimetiche portano l'autore a mantenere nel discorso diretto certe espressioni che per un non dialettofono continuano a suonare quando meno ambigue : tutto il movimento, tutto il bazar; per esprimere un "tutto" iperbolizzato, oppure le baracche per "Le cianfrusaglie", socio per "amico" e segare l'erba per "falciare". Rarissimo il dialettalismo crudo, alla Gadda: abbiamo trovato soltanto cala per "spazzaneve" al posto, eventualmente, di "calla" (che è ticinesismo di uso burocratico), mentre galuppo ricalca adattandola la forma originaria di galupp "ragazzone", registrato anche nel lessico di Arbedo di Vittore Pellandini. Analogamente adattati a partire dalla più schietta matrice dialettale e persistenti sono besenfio ("gonfio"), soturno ("taciturno, cupo, malinconico") e modi di dire pure molto caratteristici, del tipo fuori per settimana ("durante la settimana"). Per il Ragno di sera, Calgari aveva registrato casi ancora più flagranti: braccia piene di gnocchi ("contusioni") o far figura di ballabiotti ("mascalzoni"). Meno vistosamente ma significativamente, ancora nel Signore : a sottoprezzo, parallelo al diffusissimo "a gratis" dovuto a fraintendimento, viene raddrizzato facilmente dal Filippini revisore di sé stesso, sopprimendo la preposizione; allo stesso modo, a carponi è regolarizzato in carponi, poco a poco, in a poco a poco. Tuttavia, dalle profondità più riposte del sistema continuano ad emergere tratti distintivi dei più notevoli. Il dialetto, come è noto, è anche "lingua della realtà" e le sue strutture, quando pur dispongano di alternative, rifuggono tendenzialmente dalle formulazioni astratte, preferendo quelle che pongano in primo piano l'elemento concreto, o che siano di uso più corrente. Perciò (ma sono soltanto pochi esempi): di sabbia, piuttosto che sabbioso; di musica piuttosto che musicale, da morto piuttosto che mortuario, in vergogna piuttosto che vergognoso. Per questi casi precisi, l'autore, dopo aver primitivamente e spontaneamente messo la forma più vicina alla parlata locale, ne ha poi ritoccato l'assetto nella direzione opposta: oggi, in sostituzione delle forme perifrastiche leggiamo precisamente, anche se non proprio sistematicamente sabbioso, musicale, mortuario e vergognoso. I ritocchi nelll'uso del participio in funzione avverbiale confermano pure questa tendenza: si avvicinò alla stufa goffamente era stato formulato in un primo tempo si avvicinò alla stufa goffo, che è un modo tipicamente "dialettale" per sottrarsi all'astrattezza dell'avverbio in-mente, poi riassorbito nel sistema della versione definitiva; per lo stesso motivo, averne abbastanza ho potuto scriversi, all'origine, nella forma più "ticinese" averne a basta.

Sulla base di questi pochi esempi, abbiamo inteso dare un ritratto organico della tavolozza verbale di Felice Filipini: certi che, anche al di là del loro significato puntuale e delle dinamiche estetiche che le governano, le correzioni dell'autore illustrano con didattica evidenza anche molti caratteri profondamente iscritti nella coscienza linguistica di noi ticinesi.

Guido Pedrojetta, Università di Friburgo

29.01.00

 

Page créée le 01.08.98
Dernière mise à jour le 12.09.05

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