Edito da Casagrande di Bellinzona è uscito "Nati complici"
il nuovo libro di racconti Il realismo magico di Anna Felder

Anna Felder, luganese di nascita e argoviese di adozione, una delle voci più "moderne" della letteratura svizzera di lingua italiana, è tornata a pubblicare un volume di narrativa dopo quasi vent'anni: "Nati complici", siloge di racconti edita da Casagrande.

Sin dai titoli ("Il pioppo intelligente", "Il mare in erba", "Veloce mestizia", "Le ombre sedute") si evidenzia quello che è forse l'aspetto più personale e insieme più affascinante della prosa di Anna Felder, l'accostamento inaspettato, l'aggetivo inedito, la meditazione su ogni parola.

Queste qualità, e di grandi qualità si tratta, avevano già contraddistinto le opere precedenti della scrittrice da "Tra dove piove e non piove" (1972) a "La disdetta" (1974, letta e "approvata" di Filèmone e Bauci, sortiti dall'incontro con il dio (Giove) più smarriti che nobilitati, perplessi di fronte a un mistero che nella loro semplicità riescono solamente a intuire, a percepire di sbieco, e mai a comprendere mai a penetrare.

Più che da connessioni tematiche, i nuovi racconti sono legati da un'atmosfera unica, un senso di frammentarietà, una percezione intensa della fragilità dell'esistere. Tale sentimento, più esplicito nei racconti che parlano di emigrazione o di viaggio, e altrettanto presente quando al centro del narrato vi sono casa e famiglia, temi prediletti e trattati con originalità. Come già ad esempio in "La disdetta", casa e famiglia possono si costituire focolare, rifugio, tranquillità, ma più spesso sono il luogo dove più che in ogni altro emergono l'esilità della comunicazione, la precarità di rapporti che si giocano sulle sfumature e sull'incertezza.

Leggiamo l'inizio di "Alleluia": "Niente era sicuro. Non era sicuro il tetto sopra la casa, non il giorno dopo la notte, non il silenzio accanto al rumore"; ascoltiamo le parole del protagonista di "No grazie": "Una vita ho impiegato per non ancora capire che cos'è la poesia. Potrei morire oggi e non so rispondere. I ragazzi quando erano bambini, loro si, sono stati un momento una poesia: Marietta adesso è una poesia. Ma dopo, sai dirmi dove va a finire tutto questo?".

L'angoscia sotterranea che unisce i personaggi, il predominio del mondo interiore sugli accadimenti esterni, ma anche la raffinatezza stilistica, ricordano - il paragone è tutt'altro che iperbolico - grandi narratrici italiane della prima metà del secolo quali Anna Banti o soprattuto Gianna Manzini, e non perché sia necessario postulare l'esistenza di una specifia ' scrittura femminile' .

Ciò che è indiscutibile è che la prosa di Anna Felder, come disse una volta Svevo per quella di Joyce, "non si presta a un lettore distratto", è una di quelle prose, al contrario, che induce alla lettura ad alta voce, che impone un ritmo, che pretende un orecchio dispoto ad ascoltare anche ciò che non viene detto. Ci sembra che in una pagina stessa dell'opera (I"incipit'del racconto "Precoce") sia espressa, per negazione, la poetica della scrittrice: "Non intercalava mezzo respiro di silenzio, parlando: teneva a voce alta un ragionamento concatenato, siccome di catene stava spiegando - catene logiche di matematica e di filosofia - senza sospettare che il discorso potesse carpirsi anzi meglio sottovoce, lasciando spazio alla sopresa, al dubbio anche dell'altro; dell'altra che ascoltava".

Gian Paolo Giudicetti

martedi 12 maggio 2000